Concorso "Federico Ghibaudo"
2° Classificato



"SENZA TITOLO"
di Elena Cattaneo 4^G





Dedico questo scritto proprio a chi mi ha “ispirato” Mi sono effettivamente appropiata dell'esperienza altrui e l'ho riadattata, reinterpretata. So che le cose non sono andate esattamente in questo modo, ma, insomma, pazienza.

Avevamo cantato "Long trai running" dei Doobie Brothers guardando l'autunno correre in nessun posto fuori dal finestrino del treno. Ci scambiavamo occhiate sorridenti e complici che riflettevano il destino comune di quella notte, o almeno fu quello che mi parve. Parlava di libertà il nostro canto, autocreata, autogestita, intrisa -sembrò allora- di una strana fragranza di speranza e di ricostruzioni di vecchie concessioni estive venute da padri e madri al limite del permissivismo.
Qui si stavano un po' rompendo gli schemi. Ci si ribellava a stantii assolutismi familiari con un'incoscienza da Charlie Brown e Piperita Patty.
"Prendere coscienza di ciò che si vuol fare e FARLO" pensai. Già, pensai questa cosa e mi sembrava che le parole uscissero realmente dal mio cervello e che volassero anarchiche le lettere in giro per tutto il vagone, come in una vecchia favola di Gianni Rodari in cui un tizio ingabissima, vero e proprio rivoluzionario, possedeva una mente trasparente, così tutti potevano vedere ciò che pensava. Ogni suo pensiero era un messaggio di speranza e allo stesso tempo di ribellione (egli viveva infatti in un paese governato da un terribile tiranno). Ringraziai profondamente le mie figure genitrici per avermi comprato, quando ero bambina, tutti i libri di Rodari.
Del resto come avrei potuto realizzare sul "treno delle meraviglie", mentre si cantava anche "God save the queen", che ciò che in quel momento sembrava tanto divertente e importante, ore dopo avrebbe sepellito la propria spontaneità per acquistare un inaspettato volto plumbeo?
Fissando lo sdrucito soffitto del vagone mi sentivo una viaggiatrice, avvertivo qualcosa di collegabile a quella vecchia canzone dei Led Zeppelin dove un tale, o una tale, andava a seguire la propria via illuminata dalla luna autunnale. C'era anche quell'altra bellissima canzone di Tom Waits che faceva più o meno così: "...Ho imparato a stare solo e ovunque, ovunque appoggerò il mio capo, chiamerò quel luogo casa...". Razionalmente poteva risultare piuttosto assurdo che io pensassi tali cose perché infondo in meno di venti minuti sarei arrivata in stazione centrale insieme a Lisa ed Anna, avremmo preso vari tram e autobus e saremmo arrivate proprio in via Wetteu, proprio nella grande fabbrica occupata. Avremmo guardato il concerto tanto atteso e saremmo tornate a casa di Lisa a dormire, infatti le di lei figure genitrici avevano lasciato la casa completamente libera per tre giorni... casa nido di intrighi e menzogne... "BASE" di tre neoquindicenni fredde pianificatrici di serate a ridere dell'ingenuità paterna e materna.
Mentire ai propri genitori. Bè, piccola bugia. OK, una palla stratosferica.
Passavano squallide le squallide città dell'interland milanese mentre nasceva silenziosamente in me la sensazione di "avere una meta". Ripensandoci ora mi rendo conto di quanto le persone tendano ad idealizzare e quanto si aspettino dal futuro, in modo irrazionalmente sublime, direi. Ed è normale tutto ciò, poiché più passa il tempo e più l'essenza umana si mostra nuda.

Accendemmo tutte e tre una sigaretta,
come per brindare.
Brindare...
Già.
Sembrava tutto molto semplice.

Eravamo arrivate da poco, il grande locale era già strapieno di gente, giovani e adulti. Mi sentii subito bene, rilassata. Fuori, nel cortile stavano organizzando la "ruota della marjuana", gioco singolare, ne convengo, trovata straordinaria tutto sommato. Incontrammo dei vecchi amici di Anna, da lei conosciuti in una di quelle incredibili vacanze (peraltro straraccontate) tossiche all alone, all'Isola d'Elba o giù di lì. Rimanemmo con questi simpatici "giovinotti" per tutta la serata, cominciarono a "tirar su" non appena iniziò il concerto dei Sangue Misto, dato che la canzone iniziale era "La porra" (in gergo bolognese significa canna, spinello), trovarono insomma l'atmosfera adatta già creata.
Io non avevo mai fumato, non per chissà quale ragionata scelta, non mi era mai capitato, tutto qui. Non trovai la cosa particolarmente interessante o eccezionale, purtroppo mi prese subito alla testa e cominciai a percepire lunghi come secoli i minuti che passavano.

E' strano essere qui adesso,
vedere tutte queste persone
che si passano a vicenda lo spino,
non ci avevo mai pensato,
sembra un po' la scena di un film...
un film allegro perché qui
l'atmosfera è allegra e,
di tanto in tanto, si chiamano "compagni".
Anacronismi? Forse.
Tuttavia è bello guardare questa gente,
è viva. E' vita.

Dopo qualche secolo mi ritrovai sotto il cielo di ottobre a parlare del "Barone rampante" e del "Cavaliere inesistente" con un tale piuttosto bizzarro. Si sentiva bene la musica, sano e spontaneo hip hop italiano, nato in quel di Bologna, niente male davvero.
Proseguì in questo modo la serata, tra folli discussioni letterarie, stupidaggini, risate, infiniti canti, sballottamenti vari causati dalla folla. Gran divertimento, davvero, sebbene dopo poco tempo il tale bizzarro si rivelò decisamente ossessivo. "C'è sempre un piccolo prezzo da pagare", pensai. Già.
Verso l'unaemezza Anna cominciò a guardarsi intorno e chiedere passaggi ai vari amici. Con scarso risultato. Io ero impegnata a parlare di Italo Calvino con il tizio che aveva offerto il fumo, il quale aveva una terribile aria da intellettualoide di terza categoria, risultava nondimeno fastidiosamente logorroico, ma non c'era nulla di meglio da fare, non riuscivo ad alzarmi e mi stava venendo un gran sonno.
In situazioni bizzarre si incontra sempre gente bizzarra. Sorrisi al destino. Prima donna, niente di meglio. Siamo tutti un po' narcisisti e quando ci divertiamo lo siamo ancora di più, è un fatto fisiologico direi.
Quando mezz'ora dopo mi alzai tutto cominciò a perdere colore. Lisa aveva un volto cadaverico e farneticava stupidaggini sul suo cane che aveva mangiato i pesci rossi del fratello... piuttosto improbabile, ma non mi venne da ridere. Cercai con lo sguardo Anna mentre l'intellettualoide continuava la sua conferenza su "Il visconte dimezzato". La trovai mezz'ora dopo, in lacrime e pensare che io avevo appena riacquistato il mio buon umore. A volte mi odio. Le dissi di non preoccuparsi, insomma in qualche modo ce l'avremmo fatta, così il giovane gentiluomo che aveva parlato con me per tutta la sera si offrì di portarci fino alla stazione. Va bene, va bene e grazie tante.
Scesi dalla macchina nauseata, Lia aveva già dei semi-conati che per tutto il viaggio mi avevano preoccupata.
Seguire la propria strada che puzza di vino occupato autogestito. Eh, eh, eh. Controversi attacchi di follia, il macabro e il senso dell'umorismo sono fratelli, brindano alla stessa tavola. Ma. Qui nulla c'è di macabro. La luna autunnale smise di illuminare la via. Probabilmente si rifiutò di farlo, possibile biasimarla? Persino le foglie smisero di cadere. Avevo forse io, con lo squallore creato, distrutto tipo di ciclo vitale?
La notte era in lutto per la morte della libertà.
Ma questo ancora non lo capivo, mi trovavo nella fase in cui gli eventi "sembrano essere", si delinea la scenografia, appena appena la musica.
-Allora ciao ragazzi e grazie- questa era la voce di Anna. Grazie? Luci basse, cani sciolti per la via, ore dueetrentainthemorning. E' questo un film? C’è qualcuno con una telecamera o che, qui da qualche parte? Grazie? Odore di schifo e stazione centrale di fronte a noi, culla di bambine. Grazie?
Ogni azione divenne estremamente lenta, fu difficile organizzare i movimenti. Dirette alla stazione, mi sentivo come nell'intreccio di un qualche racconto; e anche in un film videoregistrato, solo che qualcuno doveva ever schiacciato il tasto "rallenty", maledetto. Con passo incerto o fintamente ponderato, non sapevamo cosa esattamente ci avrebbe atteso, quale sarebbe stato ora il destino comune. Niente suspense da thriller americano di nona categoria, intravedevo piuttosto il germoglio di una sottile inqiuetudine, lontana tuttavia dall'idea di paura e ancor di più da quella di preoccupazione (ci vuole una certa razionalità e lucidità per essere preoccupati, non è un fatto istintivo, per questo forse stavamo perdendo dieci a zero).
Entrammo nella nuova culla, culla di frustrazioni di puttane e senzatetto... e luoghi comuni certo.

Sono le treeunquarto e il primo
treno che ci possa portare a casa
passerà fra due ore, due ore già.
Guardiamoci un po' intorno, ne vale la pena,
"giochiamo" a essere in una sceneggiatura.
Carpire le immagini come se fossero
su una pellicola cinematografica,
ecco cosa voglio dire.
Provo a immaginare qua e là
dei paesaggi in bianco e nero,
si sa rende sempre un po' meglio,
sopratutto in certi cortometraggi
improvvisati e magari anche
qualitativamente scadenti,
ma siamo uomini o boyscout?
Sto pensando proprio queste cose assurde,
mentre mi maledico per aver fumato
quella bomba,
mi ha fatto perdere la percezione del tempo
e i secondi sembrano ore.
Lisa sta vomitando a cinque metri da me,
è inginocchiata e piange, grida ogni tanto,
ma così non va, non deve urlare.
Glielo sta dicendo anche Anna,
mentre le tiene la fronte.
Qui... qui non ci vuole il bianco e nero,
non mi piace, direi invece
un'inquadratura particolare, sì,
ad esempio delle mani e basta,
per tutto quanto il tempo...
dieciquindici minuti.
Insomma vorrei studiare i movimenti
delle mani in una situazione del genere,
inserendo nella scena qualche flashback,
qualche de ja vu, altre storie
altre amni,
alcune delle quali in bianco e nero certo,
perché no?
O forse solo una in bianco e nero
così che rimanga impressa.
Come colonna sonora
penso a "Not touch the eart" dei Doors,
inquietante quanto basta
("non si tocca la terra,
non si guarda il sole,
non c'è nient'altro da fare
che correre correre correre, corriamo!").

Lisa smise di vomitare e si venne a sedere accanto a me, ricordo il suo volto segnato dalla stanchezza e dal malore notturno, mi spaventava. Cominciai a parlare, non per mancanza di sensibilità (a volte il silenzio risolve ogni cosa), non credo, avevo semplicemente una gran voglia di COMUNICARE i miei ultimi elaborati mentali, ossia eh eh, i miei pensieri. Percepivo lo stato di iperattività in cui il mio cervello era piombato in maniera chiara e distinta.
-Sentite un po' cosa ho pensato: voglio realizzare un cortometraggio che abbia come soggetto le mani, mettere insieme varie immagini di mani che ruotino però tutte intorno alla scena di una persona che sbocca aiutata da un'altra, questa scena dovrà aprire e chiudere il lavoro. Non mi guardate così, è una cosa importante e articolata, ok? Innanzi tutto nel primo pezzo chi sucessivamente si sentirà male darà il via alla colonna sonora, con una frase. Impatto iniziale, frase e "Not to touch the earth" dei Doors, la scelte della canzone è stata istintiva, si presta bene, è un angosciante crescendo e si spegne poi singolarmente. La frase invece, quella è il problema, non ci ho ancora pensato, ma capirete non è da poco dare il via a una cosa simile, o no? Effettivamente... -
-Basta, basta cazzate!- disse Anna -pensavo non avessi bevuto.-
-Eh infatti, sono perfettamente seria, lucida.-
-Peggio allora. Io ho paura adesso.-
Io no, voglio sentire ancora un po' il profumo dell'incoscienza. Sai cos'è il sublime? Eh? Può essere anche l'orrido.
-Senti, che ore sono?-
-Quattromenounquarto, ora bestiale... -
Ridacchiò. -Era due e un quarto. Era "... due e un quarto ora bestiale mi dà l'idea che in Cina si stiano alzando a quest'ora e si pettinino i codini per la giornata...", è così, vero? -
-Sì certo- risposi sorridendo. Sorrisi sia perché a volte si dicono proprio delle stranezze, sia perché Anna aveva imparato quasi a memoria il monologo interiore de Molly Bloom e si lanciava spesso in precise citazioni.
Basta poco per mandar via la paura. Fu più o meno ciò che pensai non rendendomi conto che si stava impossessando anche di me. Notte strana, notte notte. Mentre accade non ti accorgi che accade. Non ti accorgi dei cambiamenti. L'uomo è una bestia strana. Del resto non potevo sapere dell'inquietudine che sarebbe nata da quell'incoscienza zen. Nemmeno quando vedemmo i due "teppisti" come disse poi Anna. Infatti improvvisamente si sentì un gran vociare, insulti bestemmie; panorama realista... verista, ci sarebbe voluto Verga a trascrivere la discussione. Comparvero così quasi materializzati dal nulla; e allora semi-cambio di registro, Lisa e Anna si spaventarono terribilmente vedendo i due uomini inseguirsi, litigare.

Stanno piagnucolando queste due, ci mancava.
La paura o è furore, terrore,
o sono tutte balle.
Comunque trovo il tutto
estremamente interessante e
mi viene in mente un racconto di Kafka
"I passanti"... c'era una frase nel mezzo
e poi quella finale
e se me le ricordassi
potrei dirle a Lisa e Anna
perché si calmino. Già.
O le irritino, mi sento cattiva.
Stanotte sono incompresa, penso troppo.

-Io non ce la faccio più, sono le quattro e venti e sono stanca incazzata e isterica e ho una paura maledetta perché questo è il posto meno sicuro che potessimo scegliere per passare la notte e avremmo dovuto rimanere al Leonkavallo a dormire. Questi due teppisti disgraziati che si rincorrono potrebbero benissimo fermarsi e violentarci o rapinarci. E qui alle nostre spalle, nella stazione ci saranno una decina di barboni luridi... capite? Capite cosa stiamo facendo?-
-Oh Anna "...è notte e non dipende da noi che la strada salga, dinanzi a noi, nella luna piena, e inoltre, forse quei due hanno organizzato quell'inseguimento per divertirsi (...). E infine, non saremo stanchi dal momento che abbiamo bevuto tanto vino? Possiamo essere contenti di non vedere più nemmeno il secondo".
-Ma che cosa stai dicendo?-
-E' Kafka.-
-Lo sai vero, lo sai che sei una stupida? Lo sai?!-
-Anna lascia stare- disse Lisa -se ci mettiamo a litigare qualcuno potrebbe sentirci e sarebbe peggio.-
L'ambiente circostante perse ancora un po' di colore perché non avevano colto il messaggio sublimare che mandava loro. Quel raccontino di Kafka era una specie di apologo, un'allegoria. Forse io stessa me ne accorsi tardi. Forse.

Questa notte tutto è come
"campato per aria",
anch'io non so, mi sento incompleta, sospesa.
Manca un tassello credo, uno solo.
Vorrei sapere cosa succederà domani,
che colore avrà il giorno.
Mi sembra lontanissimo.

Poi vennero le cinque, lente stanche, precedute da discorsi disordinati in dialetto di un senzatetto. Ci decidemmo ad andare sul binario da cui sarebbe partito il NOSTRO treno. Dagli altri binari ne stava già partendo qualcuno.

Vedere un treno partire
mi dà una strana sensazione,
come se mi sentissi "lasciata giù".
Vedere un treno partire è molto triste.
E' questa una iniziazione? Lo è?
Tra un'ora sorgerà il sole
e magari, chi lo sa?,
sarà di nuovo vita.
"Buongiorno, la notte è passata",
così diceva De Filippo.

Non è facile riconoscere di aver sbagliato, sopratutto nei confronti di se stessi, ma è pur vero che siamo naturalmente portati a fraintendere le cose, gli avvenimenti, attribuiamo significati idealizzati, distorti. Così mi resi conto di aver frainteso tutto, quella libertà autocreata e il rompere le regole non avevano una grande importanza, tutt'altro, mancavano di spontaneità sin dall'inizio; non era colpa delle bugie rifilate a casa, o forse solo in parte (purtroppo mentire fa sempre sì che non riusciamo a godere pienamente degli eventi), il panorama da considerare era più ampio e articolato. Pensai che tutto poteva ricondursi alla quotidiana insoddisfazione che faceva emergere nel mio spirito voglia di cose nuove, diverse. Mi chiesi cosa realmente ci fosse di nuovo in quella notte in stazione centrale ad ascoltare il pianto delle mie amiche impaurite e non trovai risposta. Ridimensionai in poche parole la mia condizione di giovane fanciulla appena quindicenne.
Una cosa capii seduta sulla panchina di quel binario, alle cinque del mattino, ossia che non sarei mai riuscita a ridere di quell'"avventura" perché mi sentivo in colpa, sapevo di aver superato un limite. Può sembrare assurdo forse, ma quando ci si accorge di essere andati oltre il concesso, si risulta sempre perdenti. In questo modo anche il bizzarro apologo di Kafka che mi aveva tanto affascinato un tempo, assunse un significato compiuto, definito, si caratterizzò definitivamente.
-Non è stato un caso che mi sia venuto in mente proprio "I passanti". QUALUNQUE COSA FACCIAMO E' SBAGLIATA, ecco l'essenza del racconto. Non eravamo davvero in grado di capire cosa stesse accadendo, perché stanche e, in un certo senso ebbre. Kafka è pessimista, ma non voglio dare descrizioni semplicistiche del suo pensiero... insomma parla delle nostre naturali e inevitabili colpe verso il mondo, tutti, senza eccezioni. Per questo forse l'ho ricordato. E' stato come se fossimo state investite dal peso di una sorta di peccato originale.
Ma voi non mi capite e non vi biasimo. Adesso voglio solo prendere il treno e tornare a casa, anche perché mi chiedo se quella sarà ancora la mia casa, voglio dire, desidero sapere cosa racconterò, come ritornerò nel mondo vero.

Sono le cinqueemezza,
l'autunno mi guarda
fuori dal finestrino del treno
mentre vado in nessun posto.
Canticchio fra me e me
"Mister Tambourine" di Bob Dylan.
Mi sembra siano trascorsi mille anni
da ieri sera... dall'ultimo treno che ho preso.
Amico treno...
Chissà se lo realizzerò quel cortometraggio
non era niente male come idea.
Mi viene persino in mente una frase adatta,
prima che il soggetto cominci
a vomitare le insoddisfazioni umane:
"E' chiaro che non basta
un visconte completo
perché diventi completo tutto il mondo".