Concorso "Federico Ghibaudo"
"SENZA TITOLO"
di Marta Arosio 3^D
Caro Diario,
giornata campale oggi, come direbbero quei bambini dei miei
compagni. Non ti voglio annoiare con tutti i resoconti delle
innumerevoli interrogazioni, compiti, spiegazioni, riunioni e
prove che costituiscono la mia giornata-tipo, ormai. No, è stato
un altro il motivo che mi ha mandata in crisi, o meglio, che mi
ha spinta a riflettere. Dì, hai mai notato che quando qualcosa
ti colpisce, un argomento, un tema, questo continua a ripetersi
ossessivamente nella giornata, attraverso i discorsi svagati
degli amici, i brevi lampi dello zapping alla tivù, un articolo
di una rivista sfogliata per caso, foglie lasciate cadere
distrattamente da un albero qualsiasi ma che il vento continua a
sbatterti in faccia?
Il primo colpo di vento stavolta è stato con i miei amici,
mentre, sfuggiti per un istante alla morsa stringente dei nostri
pressanti doveri, ce ne stavamo comodamente semisdraiati sui
banchi sventagliandoci con i fogli per scacciare la sonnolenza
insinuata dalla scuola silenziosa e dal monotono ronzio di un
moscone che sbatteva sui vetri ardenti.
Oggetto della pigra chiaccherata, i lavori estivi trovati dai
ragazzi più grandi, in particolare quello da gelataia di Dora:
un bel cono allo yogurt con sopra la salsa di fragole, cosa darei
per averlo nell'afa di mezzogiorno; i miei pensieri lasciano la
conversazione e inseguono un bel sogno, un grosso cono gelato che
svolazza per l'aria.
Quando ritorno nell'aula siamo scivolati sulle patenti e sul voto
che i maggiorenni daranno di lì a pochi giorni, e un mio
coetaneo osserva che anche a noi manca poco... un brivido a metà
fra piacere e lo sgomento mi corre giù per la schiena: votare;
guidare; dico, staremo scherzando, queste sono cose da grandi.
Conto sulle dita quanto mi manca, quanto tempo mi resta prima di
diventare maggiorenne, prima di essere totalmente e
irrevocabilmente adulta: diciassette mesi, meno di due anni al
grande salto.
Il pensiero non si è ancora ben radicato nella mia mente quando
sono costretta a dare un brusco taglio ai problemi esistenziali:
il vortice della vita si è riattivato, dobbiamo rincominciare a
correre dietro alle nostre faccende.
L'idea è dimenticata ma non molla, si acquatta nell'ombra pronta
a balzar fuori non appena la girandola si fermerà nuovamente.
Ora è tardo pomeriggio, l'aria è fresca, il sole già basso
sull'orizzonte getta lunghe ombre sul fazzoletto del prato; mi
allungo indolente sul divano, stirandomi ben bene: ho mezz'ora di
pace e riposo.
Ascolto per qualche istante la calma della sera, poi con un gesto
distratto avvio la televisione, la luce azzurra traccia un alone
tremolante nella penombra.
Sullo schermo c'è un bel ragazzo biondo che discute insieme alla
sua ragazza con un'aria terribilmente seria; sorrido: ecco una
cosa più monotona e rilassante della pioggia d'autunno, un
serial televisivo.
La conversazione procede uniforme, senza che mi sia possibile
distinguere qualcosa di interessante, e senza che neanche mi ci
provi; solo per un'istante sento una lieve sensazione di disagio,
non me ne preoccupo, ma quella dopo essere svanita torna un po'
più forte, e poi ritorna, e ancora, sempre più intensa e
possente riecheggiando avanti e indietro, indietro e avanti; mi
drizzo a sedere, inutile, non capisco, che cosa c'è, non
capisco.
Mi concentro, tento di focalizzare l'immagine, eliminare
l'echeggio continuo, la nebbia davanti ai miei occhi: "Forse
stiamo diventando uomini e donne, e non lo sappiamo
nemmeno."
La Banalità del problema mi lascia sconcertata, sorpresa per un
breve istante: beh? Una frase stupida, usata e usata tanto da
ricoprirsi di quella fastidiosa patina di retorica ovvietà che
ricopre i "baci", l'"amore eterno", la
"ribellione".
E allora? E allora, nonostante tutto, nonostante sembri facile,
chiaro, aria fritta, le cose, tutte le cose, tutti i problemi
diventano ogni giorno che passa più complicati, il passo
successivo è sempre più denso di incognite, la lista dei doveri
continua ad allungarsi, ogni piccola conquista sembra spalancare
voragini di dubbi ed abissi di paure.
Divento grande, divento forte, ho il possesso della mia strada,
ma non è più una strada, è un labirinto, e continua a
ramificarsi, ho l'insostenibile consapevolezza che qualsiasi
angolo svolti, qualsiasi porta apra o chiuda è una scelta, una
mia scelta, della quale dovrò rispondere davanti a tutti, senza
paura, pronta a lottare.
I due specchi mi tengono in mezzo. io sono qui, sono io, questa
è la mia vita, la mia orgogliosa affermazione innanzi
all'universo; e l'altro è l'universo: chi sono io per gridare
alle stelle, un granello di sabbia di cui nessuno si interessa,
uno sfrontato, piccolo pulcino di fronte ad un falco che chissà,
se mai gli verrà voglia mi ucciderà.