Sono il cronista di un quotidiano locale fiorentino, non sono
famoso, ma il mio lavoro mi piace: sempre a caccia di notizie, in
giro per la città sperando che prima o poi arrivi la mia
occasione. Il mestiere del giornalista non è facile, devi sempre
riuscire a precedere i tuoi "rivali", non sei molto
amato dalle persone, perché spesso inopportuno e privo di
scrupoli, ma è il tuo mestiere e lo devi fare.
Il mio ultimo articolo è stato forse il più triste e toccante
che abbia mai scritto, un fatto che non doveva accadere, un fatto
che mostra ancora una volta la debolezza dell'uomo.
E' avvenuto nei pressi di Firenze e lo riscriverò per voi.
FIRENZE: è una giornata serena, l'ideale per una bella partita
di calcio fra amici o per una passeggiata con una ragazza su
Ponte Vecchio. A bordo della mia Espace percorro insieme con la
mia "squadra" le strade di Firenze aspettando che
accada qualche cosa; improvvisamente ci sorpassa a gran velocità
una volante dei carabinieri e in lontananza la sirena di
un'ambulanza ci avverte che qualcosa è successo. La curiosità e
il mio sesto senso mi fanno spingere a fondo l'acceleratore,
seguo la vettura dei "caramba" che mi guida fino al
luogo del misfatto.
Mi trovo in un quartiere di periferia subito fuori della città.
Scendo dalla macchina a la prima cosa che vedo è lo sguardo di
un uomo pieno di lacrime, che non riesce ad esprimere la sua
rabbia.
E' vestito come se fosse appena tornato dal lavoro, è sudato,
spettinato, con la cravatta allentata, come se fosse turbato
dalla vita e dai sensi di colpa.
Gli infermieri portano fuori dal cancello, coperto da un lenzuolo
bianco, il corpo esanime di un ragazzo giovanissimo, quindici o
sedici anni.
Vengo preso dallo sconforto quando inizio a ricostruire
l'accaduto.
Mi avvicino al cancello rimasto aperto dopo il passaggio della
barella ed entro con passo incerto e ondeggiante per verificare
ciò che penso sia successo.
La scena è orribile: sotto una fila di finestre una pozza di
sangue tinge l'asfalto di un rosso intenso che sembra voler
colorare l'immagine del corpo tracciata col gesso.
Incontro una donna anziana che abita al primo piano, sei piani
sotto la finestra della cameretta del giovane, anche se ancora
sotto shock mi racconta di essere stata sul punto di affacciarsi
quando ha visto una figura scivolarle velocemente davanti ai suoi
occhi e cadere con un tonfo sull'asfalto.
Vado in cerca del padre, lo trovo quasi subito, è in compagnia
dei carabinieri e sta cercando di convincersi che non è successo
nulla, che non è colpa sua.
La cravatta gli sporge da una tasca, la camicia bianca e sudata
è completamente sbottonata, le sue scarpe sono slacciate e la
sua voce balbettante gli permette solo a tratti di raccontare
cosa è accaduto.
Dice che stava per entrare in casa quando il figlio impaurito si
è chiuso in camera e ha compiuto il fatale gesto, poi con altre
precisazioni sono riuscito a ricostruire l'intera vicenda.
Tutto inizia con una telefonata al padre da parte della preside
dell'istituto frequentato dal ragazzo per avere informazioni
sulle due assenze scolastiche.
L'impaziente genitore a sua volta telefona al figlio sfogando la
sua rabbia per telefono e rinviando il discorso a quando sarebbe
rincasato.
Quel pomeriggio, non appena la chiave inserita nella serratura
con un leggero "clic" apre la porta di casa, un fremito
di paura attraversa il corpo del giovane ragazzo che, vedendosi
senza via di scampo trova come miglior rimedio quello di
chiudersi nella sua stanza e gettarsi dalla finestra.
Nessuna spiegazione del fatale gesto, sono solo state rinvenute
poche righe che mi sembra doveroso riportare: PAPA', MI DISPIACE
DI AVERTI DELUSO MA E' ANCHE COLPA TUA. LASCIO I SOLDI CHE HO IN
BANCA AL TELFONO AZZURRO. SALUTAMI LA MAMMA E FRANCESCA.
P.S. SPERO CHE LA FIORENTINA VINCA LA COPPA ITALIA.
Quest'ultima frase mi fa rabbrividire, e mi chiedo come può una
mente così lucida essere anche così debole da permettere che la
paura prevalga sulla ragione.
Ora capisco perché lo sguardo di quel povero padre è così
vuoto e perché il rimorso che lo consuma è così grande, per
questo mi riprometto di non fare nessuna domanda.
La curiosità spinge la gente ad avvicinarsi e una grande calca
si forma intorno alle macchine dei carabinieri.
Tra la folla si fa largo a spintoni una donna, forse la madre,
che corre ad abbracciare il marito e, mentre le lacrime le rigano
il volto, dalle sue labbra esce un urlo sottile e penetrante che
perfino il marito, che fino ad allora era riuscito a trattenersi,
scoppia in lacrime.
La gente che osserva sembra scossa, non ancora cosciente
dell'accaduto, ma colpita da quella scena così commovente.
Mentre mi allontano rifletto sull'accaduto e mi chiedo che ruolo
possa avere avuto quel padre nella vita di suo figlio, visto che
era così spaventato.
Ripenso a tutto quello che ha scritto sul biglietto, a quelle
parole sulla sua squadra del cuore e a come tutti i suoi sogni
possano essere svaniti all'improvviso.
Questo comunque non è l'unico caso di suicidio avvenuto negli
ultimi tempi, ce ne sono stati altri come: il ragazzo suicida a
Monza, i tre amici gettatisi sotto un treno, i due fidanzati
buttatisi da un'impalcatura di un palazzo in costruzione; potrei
continuare, ma a cosa servirebbe?
Questo suicidio è soltanto uno dei tanti, forse ce ne saranno
altri, ma nessuna scusa potrà giustificarli, perché se è vero
che l'uomo è la creatura più intelligente, a mio parere
dovrebbe imparare a risolvere i problemi affrontandoli a viso
aperto, senza compiere gesti inusitati, che sono solo segno di
debolezza verso i valori della vita che fanno apparire l'uomo
forte e allo stesso tempo debole.
I valori smarriti occorre recuperarli affrontando la vita
accettandola così come si presenta e quindi anche le situazioni
difficili devono essere risolte da vivi, senza arrendersi di
fronte alle delusioni che sono solo frammenti di vita che segnano
il nostro passaggio su questa terra.