Concorso Letterario "Federico Ghibaudo"

 

SENZA TITOLO

di Giulia Covezzi - 5^G

 

Una lieve pioggia le sfregiava le gote ma, a farla tremare, era il lancinante dolore -un grido- del pensiero unico che le trapassava la mente parte a parte.
Vibrano i suoi passi sull’asfalto umido -testa china- perdendosi in una danza calcolata, in un ritmo impetuoso (di un’anima mai scelta). La follia di vedere nei piedi la propria vita, trasparente specchio d’umore e di potere guidarla in ogni movimento, almeno una volta. Si mischiava il respiro affannoso con la sua corsa, goffa probabilmente, ma assolutamente sincera.

[e se la strada non le avesse
duramente afferrato i piedi, forse,
non sfiorerebbe nemmeno quel
grigiume che ora l’opprime]

Correva, e man mano i suoi passi si facevano pesanti, saltellando, e saliva dalle scale rovinate e sporche, e improvvisamente spalanca una porta, ed il dolore ora le penetra nel petto, è una stretta allo stomaco un feroce morso d’ignoto. Cade distrutta su un pavimento freddo, un brivido, uno solo, unico sentore di essere viva.

E’ un vortice immenso che ti percorre
dalle mente allo stomaco
e provoca nausea, prorompente
nausea, rigetto di consapevolezza.


Non so come si chiami, non l’ho mai conosciuta, so solo che è una persona molto strana, più volte l’ho vista ballare per strada, o parlare da sola. Lei è sola, sempre, e ha una strano sorriso di chi “ma io ne so molto più di te”. Ed è sempre uguale, la vedo da tempo gironzolare dalle mia parti, con quello sguardo beffardo e quella giacca gialla e blu. Già la indossa... sempre. No, non la conosco...
Seduta sulla sedia guardava, al di là della finestra, quel paesaggio muto, alla ricerca probabilmente di un solo colore, vero, vivo. Sapeva anche perfettamente che non l’avrebbe trovato mai, era così tutti i giorni. Ma il suo sguardo era così forte che avrebbe potuto spaccarlo, quel vetro, e sbriciolarlo in mille invisibili pezzi, inondando quel grigiume impalpabile con i colori, quelli della sua testa, già, solitamente era così (e certamente guardandole la fronte si sarebbe potuto scorgere ogni più piccolo barlume di mente e sfiorare con una mano le pareti dei suoi pensieri). Ma non ora, però. NO. Era come se cercasse qualche cosa, qualche cosa di estremamente piccolo, pareva volesse richiamare a sé ogni pigmento ceduto in passato. Ne aveva bisogno, per attenuare il bruciore che ogni momento aumentava nel petto, le serviva, e i suoi occhi cercavano avidi in quel panorama -miscela uniforme di tinta unica-. Invano.
E’ molto coraggiosa, si, ma nessuno probabilmente ha mai capito il suo coraggio, mascherato dall’espressione folle della sua persona e dai suoi modi atipici. Mi aveva guardato, trapassandomi gli occhi mentre, piangevo, attraversandoli come quella finestra per scorgere il colore che una lacrima scatena dietro la nostra corazza. E’ il coraggio, il suo, non è stato certo quello di sopportare il dolore evitando il pianto.
Pulsavano le tempie -occhi chiusi- e nella testa solo una lunga serie di brevi fotogrammi, istantanee della sua vita.

[e schietto si dipinge sul volto un
sorriso, capace nel ricordo di
rivivere una scintilla di emozione]

Un volto. sfericità torcente, sfumato dall’ombra incerta si nasconde nel suo stesso profilo confuso e si avvicina terribilmente al mio.
Percepisco solo il nitido sguardo ed il respiro -affannoso- irregolare che sfiora la mia guancia, avvolgendola, caldo. Ora è una mano che passa leggermente tra i miei capelli e poi lambisce quasi impercettibilmente il mio viso. Ho paura, sento che mi pervade il terrore e si sfregano i nasi e in un attimo posso sensibilmente intuire i suoi lineamenti e di nuovo sono immersa nel panico e nel profumo della pelle.

[partiva e spariva, un saluto ed una giacca gialla e blu. Tutto il senso, un saluto]

E improvvisamente -un’esplosione- una stretta un forte abbraccio, il tentativo, forse, la speranza di rimanere incastrati, e poi, quasi sciogliendoci, la presa si allenta ed ora posso attraversargli la mente, guardandolo negli occhi (mentre scendono imperturbabili lacrime tonde); un inebriante grido di colore si spande nella sua testa, occupa immancabilmente ogni più piccolo insignificante angolo... e sento salire il vuoto, fino alla gola, fino al cervello, paralizzata, inerme. Muta...

...muta, come il grigio paesaggio che aveva davanti, aveva rincominciato a fissare il mondo ed il suo sguardo acquisiva uno spessore ed una densità triste, insolita per chissà quale alchimia.

E tutta quell’energia accumulata in quel corpo che avrebbe potuto benissimo essere solo un contenitore in plastica, si consuma in un istante.
Una lacrima, ora, traccia un solco profondo nella sua carne, ed è solo il dolore di una parola mai detta, riarsa in gola.