3° Classificato
Ricordo con unesattezza sorprendente, come se neanche un
giorno fosse passato, quel venerdì dagosto vermiglio,
leggero e non più troppo caldo ormai.
I nostri abiti bianchi, quasi identici, ci rendevano macchie
assopite in un giardino sfiorato appena dal presagio della sera
vicina. E la nostre parole, forse altrettanto simili, aumentavano
con la loro vacuità quel senso di sospensione che ogni anno
avvertivo quando il vento cambiava direzione e sapore, o quando
le serate dagosto sappesantivano di unumidità
aliena.
Ce ne stavamo tutti e quattro allombra del fico, nel
giardino della casa di villeggiatura, io mia sorella Margherita,
papà e zia Clara. Il ritmo delle chiacchiere talvolta seguiva
quello delle cicale per poi interrompersi bruscamente, come se
parola del singolo contasse poco quando non era supportata dal
coro. Allora ci mettevamo a leggere, respirando il silenzio della
natura, che per fortuna non è mai davvero silenzio. Amavamo
molto i nostri libri e quel rito, che ogni giorno si consumava
allombra ignara, ci rendeva forse meno stupidi, impedendoci
di parlare.
Mi piaceva tutto di quel tempo. Tutto in quegli anni aveva poca
importanza per me, vivevo in un eterno presente come se
dimenticassi di relazionarmi in modo serio e profondo e opportuno
ai fatti andati o agli eventi futuri; del resto nessuno mi
biasimava. Loro, i miei familiari, erano anzi felici e
soddisfatti. Venivo considerata come creatura lieve, spensierata;
era molto facile amarmi. Cercavo protezione negli altri senza
saperlo, e senza saperlo avevo una fiducia smisurata in tutti.
Mi piacevano le persone, soprattutto lattenzione che
prestavano ai miei racconti. Parlavo di qualunque cosa mi
accadesse, forte della mia eccellente memoria e del potere
daffascinare la gente; le mie storie erano coloratissime e
vuote, per questo venivano sempre ascoltate, per questo ora non
ne voglio rammentare neanche una.
Non conoscevo lamore, eccetto quello di figlia e sorella,
tutta la mia vita era intrisa di sentimenti tiepidi e lo strano
turbamento che talvolta avvertivo leggendo certe liriche greche
mi confondeva ineludibilmente, poiché quelle parole, quegli
aneliti a un amore totale, mi erano talmente estranei da non
permettermi di comprendere; potevo solo intuire istintivamente,
grazie ai semi di verità naturali che in ogni uomo sono
presenti.
La fine dellestate coincideva come ogni anno con lintimo ritrovassi della famiglia e delle figure eccentriche o noiose o inverosimilmente languide di cari e vecchi amici. Nulla era mai cambiato. Non io, non la mia immagine e men che meno lo spirito di perenne, statica armonia che regolava i nostri rapporti. Ce ne stavamo lì, persi in mezzo al gioioso ritmo delle colline e delle valli, sotto un gigantesco fico a leggere e sorridere. Questa era la nostra vita.
In casa Franz stava suonando il violino, mia madre
lascoltava semi assopita, con unespressione di
beatitudine sul volto, una di quelle espressioni che denunciavano
velatamente la sua insoddisfazione di fondo; aveva bisogno,
nessuno sapeva di cosa, bisogno e basta. La mamma era un fiore di
campo, un fiore individualista tutto sommato, tendeva
continuamente ad una dimensione propria e allo stesso tempo la
temeva. Viveva così, apparentemente per gli altri e nessuno di
noi sinterrogava mai sulla sua felicità. Ma cerano
dei momenti, come quando Franz suonava, in cui la sua natura si
svelava; allora intuivamo un poco... forse intuire è anche
peggio che ignorare poiché rende in un certo senso colpevoli.
Anche il ragazzo, del resto, mutava volto ogni qualvolta suonava
il violino, abbandonava la sua anonimità e quello sguardo
languido che spesso laccompagnava, era pervaso tutto dalla
musica. Un nuovo Franz prendeva forma, allontanandosi dalla
solita grigia compostezza.
Franz era il figlio adottivo della zia Clara; lei aveva deciso di
prenderlo come figlio quando il giovane aveva già quattordici
anni. Si chiamava Francesco, la zia aveva subito preso a
chiamarlo Franz, per via di quei suoi occhi color del ghiaccio e
della sua compostezza che lo rendevano simile a quei buffi
stereotipi di uomo germanico. Parlavamo poco io e lui; a volte mi
faceva paura. Erano i suoi occhi che cercavano e cercavano
continuamente la gente a spaventarmi, tentava di conoscere le
persone come se fosse un dovere e lo faceva con una meticolosità
difficile da riconoscere. Ora mi chiedo se fosse ragionata,
oppure una componente ragionata del suo essere. In fondo
avvicinarsi a qualcuno era il suo divertimento. Franz aveva
conosciuto il mondo così come il mondo gli si era presentato,
non per mezzo di racconti, ma attraverso i suoi soli occhi;
veniva sballottato da un orfanotrofio allaltro sotto i
bombardamenti della guerra, piegato da una fame autentica che
certe false preghiere delle suore non potevano saziare e dalle
malattie dellinfanzia, crudeli con il suo corpo quanto la
peste. Tuttavia il suo fisico era sopravvissuto benissimo, al
contrario del suo spirito ribelle e autosufficiente. Molte volte
aveva tentato di scappare, per poi tornare sui suoi passi
spaventato dalla guerra, dal freddo, dallintolleranza delle
forze armate. Credeva in un mondo senza guerra solo grazie alle
sue letture e ai pochi ricordi dei primi cinque anni di vita, in
cui già sapeva suonare il violino, ed era anche questo a dargli
la certezza di una realtà differente: i nitidi suoni che
provenivano dal suo passato, le antiche melodie che mai lo
avevano abbandonato. Musica era pace.
Così era sopravvissuto e aveva imparato a vivere, ascoltando il
passato e leggendo. Quella musica che non poteva dimenticare gli
dava forza... LARTE dei suoni è per me proprio come
il simbolo della vita: una commovente breve gioia, che
salza e sinabissa, non si sa perché; unisola
piccola, lieta, verde, con splendore di sole, con canti e
suoni., si ripeteva spesso queste parole di Wackenroder.
Dopo aver suonato andava sempre in barca, remava per ore, fino al
tramonto e piangeva. Non poteva vivere in mezzo alla gente per
troppo tempo.
Lui mi amava, non sapevo in che termini, non sapevo quanto.
Spesso mi guardava camminare in mezzo al giardino, al mattina
presto, quando cercavo di ricordare i miei sogni della notte
passata. Allora arrossivo, intuendo forse che i suoi sguardi
tradivano la natura fraterna dellaffetto che ci legava.
Ascoltate. Che cosa papà?
E Franz che suona per la mamma. Di quali meraviglie
è capace quel ragazzo. Sono cose che lo renderanno un
uomo.
E già un uomo. disse Clara Lo vedo
quando il mattino presto mi guarda, dice appena, ciao madre,
baciandomi il capo. Già avverte le cure di cui necessito e non
da poco, mio figlio ha imparato la vita molto prima di
conoscermi. Tanto ci è svelato attraverso la paura e lui ne ha
viste di paure, oltre la propria. e concludendo sorrise -lo
sguardo perso a contemplare lidea del figlio-.
Questa è una grande verità davvero. asserì mia
sorella Attraverso la paura si apprende molto di più che
in dieci anni di latino e matematica, la paura forma il
carattere. Perché vedete io credo che un buon intelletto e delle
buone capacità logiche non valgono nulla se non sono supportate
da una tempra decisa, spigliata. Luomo necessita,
soprattutto in questi tempi, un carattere che suggerisca
limmediatezza dellazione. tacque guardandosi
intorno per tentare di cogliere segni di approvazione. Non ve ne
furono alcuni, si alzò solo la voce della zia Clara: Ma
tesoro mio, Franz certo non è un uomo dazione! La sua
sensibilità è cambiata, ha acquisito lucidità... un proprio
posto nel mondo, nella sua stessa vita. Franz è attento,
tuttavia manca ancora di immediatezza e questo non è
necessariamente un male, un limite certamente, ma non un male.
Non è la tempra che serve allintelletto, ma la dignità
della consapevolezza e quel ragazzo ne ha anche in abbondanza!
tacque un istante e poi scoppiò in una grande aperta calda
risata con cui voleva solo schernire un poco se stessa, e
continuò ...e non mi guardate così male! Sarò anche un
essere che ha in sé immediatezza di azione più che di pensiero,
ma questo non vuol dire che io passi il tempo a compiacere me
stessa. Lungi da me ogni narcisismo! Già, lo confesso -come del
resto faccio sempre- vorrei essere diversa, tutto qua. Che
queste fossero le solite, care inutili battute che ogni tanto ci
si scambiava era palese ai miei occhi, sebbene non capissi ancora
quanta irrazionalità fosse nelle loro esposizioni.
Fra noi si dialogava così, se uno chiedeva come
stai?, laltro rispondeva Certo! Ed
entrambi proseguivano contenti nelle loro dissertazioni e in
altre faccende. Non ci si chiedeva mai nulla di nulla, come se ad
esempio limmediatezza nellagire fosse ben altro
dallimpulsività e se dunque non presupponesse
necessariamente immediatezza di pensiero. Ma era tanto bello
così! Parlare senza capire ed essere felici come bambini.
La zia Clara comunque in certi momenti faceva emergere un tale
vigore da stupire. Era una donna eccezionale, ecco tutto, scomoda
forse al sesso forte -e per questo ancora nubile- ma pur sempre
eccezionale. Non particolarmente brillante, né bella, ma
senzaltro viva e decisa, nonché onesta. Amavo la sua
onestà semplice, popolare, per me lei era ciò che diceva di
essere e faceva ciò che diceva voler fare. Da anni ormai la sua
vita era stata Franz, aveva preso il ragazzo come un impegno e
contemporaneamente come forza vitale. Aveva risvegliato in lui
tutti i ricordi della musica anche i più profondi, in una sorta
di anamnesi per cui egli lavrebbe sempre ringraziata.
Il legame fra me e Clara si andava consolidando con il passare
degli anni, credevo che le nostre semplicità si incontrassero e
combaciassero completamente. Nondimeno ero molto sensibile
allamore maestoso e per un certo senso solenne che provava
per Franz, un sentimento intriso di una dignità grandissima che
veniva dalla schiettezza. Mi sembrava di avvertirlo in tutto e
per tutto, ogni volta lo cercavo quasi. Daltra parte la mia
ingenuità... era un limite e anche un male. Ma questo lo seppi
tardi e forse non lo capii nemmeno del tutto, non era solo
ingenuità, tutto il mio universo si perdeva in poche immagini e
pensieri, che accarezzavo in continuazione e cercavo nutrimento
là dove cera solo unenorme distesa di futilità. E
Clara mi aveva avvertito, in una delle sue lunghe dissertazioni
sulla famiglia, la religione e la Chiesa costituita, e talvolta
anche la guerra. Tieni gli occhi aperti, per carità di
dio, anche quando listinto te li farà tenere bassi,
sarebbe una perdita di tempo, mi capisci?, io annuivo
contenta, perché le sue lezioni mi incuriosivano più che altro,
le reputavo divine proprio come lei. Che donna! così
forte e remissiva ad un tempo -questo per me era
leccellente-, moderata e sopra le parti... rumorosa e
silente.
Mi ascoltava e mi parlava in modi del tutto speciali, talvolta
quasi fossi un feto nel suo grembo -e quanto avrei voluto
esserlo!-, talaltra come fossi matura. La volevo come madre, poi
no, come sorella, o amica, o stella cometa. Impossibile
scegliere.
Per avvicinarla sempre di più avevo cominciato da qualche anno a
sommergerla di domande, prima sui fatti del mondo, estranei alla
sua persona in particolare: le chiedevo consigli sulle scelte da
fare in ambito scolastico o quando bisticciavo con mia sorella, a
volte stavamo ore a parlare di tutti i posti che aveva visitato
prima della guerra e della venuta di Franz. Mi descriveva Il
Cairo e Hong Kong, poi Londra e Parigi con la cadenza dolce che
usa chi racconta favole o misteri e ascoltavo tutto rapita,
dimenticando per un attimo le distanze reali fra me e i paesi in
cui era stata.
Un giorno le chiesi perché non fosse sposata, lo feci
timidamente, tenendo a freno limpazienza che deriva da una
curiosità troppo invadente. Mi disse che aveva avuto un grande
amore, tanti anni prima, disse che era un poeta gentiluomo, bello
e anche un pochino stravagante. Voleva sposarlo, ma ahimè, era
morto di tubercolosi, si era spento in fretta... come il dolore
di lei, fortunatamente. Era tornata a vivere viaggiando,
rendendosi indipendente e amando la propria vita solitaria. Ma
vedi, aveva aggiunto un po triste, allimprovviso mi
sono scoperta priva di senso, sola comero. ...per
questo Franz? avevo chiesto io. Sì, era per quel motivo,
sentiva che non poteva amarsi abbastanza, così come stavano le
cose. E a un certo punto ci si stanca di viaggiare, sai?
soprattutto se non cè nessuno a cui raccontare. Me ne sono
accorta quando le valigie si sono fatte sempre più pesanti e
sono venuta subito qui, ero a Rodi in quei giorni. Me ne sono
stata buona per un mese intero (credo che tu ricorderai) per
comprendere la mia crisi. Questo posto (ricordo che respirò un
paio di volte), questo posto ha il potere di insegnare a
sciogliere i nodi, è una strana malia di cui non dubito mai. Mi
consigliò di fare lo stesso quando fosse capitato a me,
leventualità mi sembrava remota, certo, ma cominciai a
vedere la vecchia casa di villeggiatura come un porto sicuro,
come un letto caldo dove rannicchiarmi beata. Unurna molle
e segreta.
Parlare con lei, vedendola così partecipe ad ogni discorso,
riempiva i buchi che la mamma lasciava con la sua
distrazione. Fantasticavo anche su di lei, immaginavo il suo
unico amore morto tanto giovane, come un uomo eccellente
perfettamente appropriato a lei, non già troppo principesco, ma
neppure realistico. Rimaneva una figura sospesa. E privilegiata,
perché era stata scaldata dallamore esclusivo di Clara,
che proprio perché interrotto, acquistava grandezza.
Lunico altro uomo per lei era stato Franz. Quando mi
soffermavo a pensarci rabbrividivo di emozione.
Ce ne stavamo tutti e quattro allombra, io mia sorella
Margherita, papà e Clara. Nel giardino della casa di
villeggiatura, in mezzo al vento e alle ultime farfalle bianche.
Franz a un certo punto uscì di casa correndo. Mi tolse il libro
dalle mani e mi tirò in piedi. Protestai, ma senza risultato.
Smettila, smettila Franz!.
Vieni, vieni con me, sbrigati. Voglio farti vedere una
cosa.
Scenderemo per il sentiero oltre la legnaia, nel giardino
sottostante. Era stretto e anche ripido, si doveva passare
accanto agli alveari che quel giorno erano stranamente in
subbuglio, proprio come Franz. Lo vedevo agitato, rideva fra sé
e sé inspiegabilmente. Poche volte si faceva vedere così dagli
altri. Capii che cera qualcosa che lo eccitava
particolarmente, tuttavia non sapevo ancora se una sua propria
intuizione o cosaltro. Quando arrivammo sullo spiazzo
erboso si fermò di scatto, mi prese le mani, aveva gli occhi
colorati da una luce vivida di fervore. Arrossii.
E unevento! E un segreto, va bene? Ce lo
terremo per noi. Gustavo... sta... sta togliendo il miele dalle
celle delle api! Tu lo sai, ogni estate lo fa, ma nessuno sa
esattamente quando, perché è un rito che deve essere consumato
in solitudine, per lui. Qualche sera fa però sono andato da lui
e ho suonato un po il vecchio pianoforte che cè in
casa sua -e Dio solo sa da quanto non viene utilizzato-. Così,
per ringraziarmi, mi ha invitato ad assistere al... alla festa,
come dice lui. Capisci? Capisci che privilegio? Capisci quale
meraviglia? E come se un poeta ti permettesse di guardarlo
mentre scrive e ti leggesse poi i suoi versi, allietandoti lo
spirito e il corpo. La poesia e il miele hanno la stessa
dolcissima origine e luomo non è che tramite. In un caso
tra linfinito e la parola, nellaltro fra natura e
nettare. Non sei felice? Non lo sei? O ti prego, devi, devi
esserlo. Tacque e si ricompose, io ero frastornata a dir
poco, ma sorridevo perché le sue parole avevano una melodia
intima anche nelleccitazione del momento. Ma,
silenzio, il silenzio è di rigore, altrimenti, diamine, si
rovinerebbe tutto.
Va bene, Franz.
Così, in punta di piedi entrammo nella capanna dove si stava
compiendo il rito. Gustavo, che era il giardiniere e in sostanza
colui che si occupava della casa quando non cera nessuno ad
abitarci, stava in piedi di fronte ad uno strano marchingegno,
molto artigianale per altro. Larnese era un ampio cilindro
in cui i telai venivano inseriti verticalmente, sostenuti da una
struttura collegata esternamente a una manovella e grazie alla
forza centrifuga il miele si depositava sulle pareti del
cilindro, da cui fuoriusciva in una bacinella a mezzo di un tubo
di plastica. Trovai il tutto bizzarro, probabilmente perché non
avevo mai immaginato in che modo il miele potesse venire estratto
dalle celle.
Il locale era buio, immerso in una strana quiete, interrotta dal
rumore della centrifuga e dal ronzio di qualche ape
golosa che era riuscita a entrare. Vidi su un tavolo quattro
bacinelle colme di miele che esalavano insieme ai telai un
immenso aroma di bosco, natura, aria, fiori. Era il profumo del
miele. Cera poi un quinto secchio contenente dei pezzi di
cera dapi intrisi di nettare, mi chiedevo cosa potessero
essere. Rimanemmo in piedi per più di unora credo, di
tanto in tanto dovevo fare attenzione che nessunape si
impigliasse nei miei capelli. Fu bellissimo. Franz mi prendeva
una mano e mi indicava oggetti buffi, inverosimili, ridevamo
assieme tacitamente. Era un incanto quella capanna in ombra
trafitta dagli ultimi raggi di sole prima del tramonto.
Ad un certo punto Gustavo ci guardò -per tutto il tempo si era
comportato come se fosse stato solo, tanto che mi chiesi se lo
pensasse davvero- e fece Per oggi ho finito, eh, eh, come
primo giorno non cè male, non cè male. Che ne
dite?. Franz rispose Sì, mi è piaciuto tutto quello
che ho visto e sentito. Sembri uno stregone.
Accipicchia! Bè, ragazzi, può darsi che lo sono, ah, ah!
Eppure è una faticaccia. Questo lavoro lo faccio tutti gli anni
verso la fine di agosto, mi piace, lo devo ammettere. Mi
piacciono le api. Ah, ma una volta, una volta, ne avevamo
tantissime di più. E poi, a poco a poco, se ne sono andate o
sono morte, boh. Accipicchia se ne avevamo, da non
crederci.
Sorrideva fra sé, lieto della rievocazione del passato, Era una
figura interessante, non cè che dire, lo era sempre stato.
Poi allimprovviso si risvegliò dal suo sogno e disse
Comunque, se sapevo che veniva anche la signorina mettevo
un po di ordine in più... sapete comè, è un
lavoraccio e questo è il massimo dellordine che ci può
essere. Comunque. Ah, adesso viene il bello per voi, e anche per
me. Vi faccio provare una cosa buonissima, eh, da non crederci,
che mi sa tanto che non avete mai assaggiato. No. si
diresse verso il tavolo, indicò i pezzi di cera dapi
aprendo la bocca in un largo sorriso che mostrava i suoi denti un
po precari. Prendete un pezzo e succhiate.
Che cosè, voglio dire, da dove sono ricavati?
Bè, mica si può pretendere che le api riempiano con
precisione i telai, queste sono praticamente le coperture dei
telai fatti dalle api, sono di cera no, e il miele ci è scappato
dentro. Allora io, prima di mettere tutto nella centrifuga li
levo con un cortello. Tutto qua. Ma, oh, dai, prendete,
prendete!
Guardai Franz per vedere cosa facesse, era deciso, ne prese due
pezzi e me ne porse uno incoraggiandomi.
Lo afferrai cercando di non far colare il miele e lo portai alla
bocca continuando a guardarlo. Percepivo lodore acre e
dolce a un tempo, chiusi gli occhi e feci scivolare il nettare
sulle labbra, incontrò la lingua, poi, giù, inondò della sua
fragranza il palato. Una sensazione di tepore mi investì, mentre
in piedi, ferma, con i sensi concentrati a cogliere quella danza
morbida di gusti e profumi, cominciai a succhiare la cera,
intrisa anchessa di unineffabile dolcezza. Oh,
meraviglia!
Uno strano silenzio nasceva dal dipanarsi del succo divino nel
mio corpo e fui presa da un torpore inatteso e dimenticai persino
di respirare. Stavo vivendo un confuso stato di oblio, in cui i
miei pensieri, sparsi e difficili, si sopivano a poco a poco,
nuotando nellaria nella stanza tra i raggi la polvere il
palato. E in quel profondo silenzio la natura parlò nella mia
bocca.
Quello era il dono di amore dellape, del polline del fiore,
della terra fertile, dellacqua e del sole. Nessuno,
nessuno, nessun oggetto umano aveva mai sfiorato le gocce più
intime della linfa che ora mi rapiva. Una parte di me era
cambiata.
Quello era il dono di amore dellintero universo.
Stupiti e attoniti, io più di Franz, ripercorremmo il
tragitto fatto qualche ora prima. Tuttintorno il mondo si
schiudeva ai colori del tramonto e unaria nuova investiva
la campagna. Era un velo sottile che passava su tutto, scandiva
il ritmo del cosmo, così sopiva piano piano la voce delle cicale
e apriva il sipario alla gran festa dei grilli. Le ombre si
allungavano sbadigliando. Si sentiva lo scrosciare delle
cascatelle del fiume intonarsi al tremolio delle fronde, presto
casa di uccelli notturni. Ma ogni particolare sembra aver
acquistato una diversa ragione dessere, il petalo e il
sasso, lape, il cielo, il contorno degli alberi.
Franz si volse di scatto e mi accarezzò i capelli con mano
sicura -sfiorò il collo- e continuò a camminare. Non sapevo
come muovere gli occhi, e nemmeno il cuore, persa comero in
una specie di illuminazione panteistica. Era una nuova visione.
Ci ritrovammo indolenti e vulnerabili nel giardino superiore,
guardammo luno negli occhi dellaltra per riconoscerci
con sicurezza, ma non avemmo il tempo di decidere se parlare o
pensare che la voce della mamma ci risvegliò crudele.
Correte, ragazzi, correte!, gridava gaia, vidi che
aveva le guance umide di pianto, così cominciai a preoccuparmi.
Capii subito che era allegria, unallegria che tuttavia le
era estranea; lei, così eterea e sottile, raramente trovava una
propria dimensione negli spazi umani -sia in quelli reali che in
quelli logici-. Qualcosa evidentemente era accaduto, qualcosa di
straordinario.
Che succede?
Clara, oh... mi manca il fiato! si portò una mano al
petto e con laltra asciugò una lacrima neonata,
Clara si sposa!.
Basita e immobile, me ne stavo seduta appena prima del bosco, su
un grande spiazzo erboso incolto, leggermente in pendenza.
Accoglievo tutto ciò che la natura mi mandava, le prime zanzare
e lumidità della terra, come se fossero parte dei miei
stessi pensieri, senza dubbio cera la stessa lentezza e in
un certo senso predestinazione. Che importa con chi? Poco,
pochissimo anzi. Un macellaio o un ufficiale, o un ladro anche, o
un maestro, un pittore, un politico. Che il suo animo sia alto,
che sia colto, o che non sappia pronunciare una frase che non sia
una, non fa differenza. così pensavo, tra la desolazione e
una tristezza che non potevo esprimere. Tenevo gli occhi fissi
sulle mie mani, che ogni tanto facevo muovere, per avere, almeno
un poco, la percezione di me di quellattimo. Volevo
sentirmi ancora reale, ma non solo, io dovevo sentirmi concreta.
Franz venne a cercarmi, come prevedevo. Si sedette accanto a me,
lamentandosi per il freddo che la sera stava portando. Respirava
affannosamente. Mi piaceva ascoltare il suo silenzio, per un
attimo aveva allontanato la desolazione.
E stato sciocco andare via così. Clara è rimasta
pietrificata, non si dà pace, sai? disse, desiderava che
parlassi e che svolgessi in qualche modo la mia inquietudine.
Se non vuoi parlare con me rimarrai qui tutta la notte, non
hai altro modo. Non puoi suonare, o remare, o correre a
perdifiato. Potresti scrivere, ma non lo farai. ricominciò
Il tempo passa e una notte si spegne in fretta. Cosa sarai
domani?
Vorresti per favore smetterla con questa cantilena?,
la verità era che io mi sentivo in diritto assoluto di non
chiedermi nulla riguardo al domani, aggrappandomi stretta e
disperata a quella sorta di spazio atemporale che si andava
creando intorno a me. Luomo è vittima dei propri dolori,
poiché essi poche volte abbandonano lirrazionalità. E
forse è ancora più vittima dellincapacità di contenere
lorgoglio di fronte alla delusione.
La smetto, certo, resta il fatto che dovrai parlare prima o
poi. Dannazione! Io sono qua adesso, capito? Loccasione è
adesso. Va bene, con calma, dimmi solo se ti senti
ferita.
Rimasi un attimo ancora in silenzio. Io... Franz, è come
se mi avesse ingannato. Io non capisco perché adesso, perché
allimprovviso. Abbiamo parlato talmente tanto io e lei che
mi sembra impossibile che abbia tralasciato di dirmi che ha un
uomo. ...un uomo poi! Ma che cosa se ne fa lei d un marito?
Il ragazzo rise. Santo cielo, ma come puoi essere così?
Clara è innamorata. Le persone per essere felici necessitano di
un interlocutore sempre presente, la diade è fondamentale.
Ma sei tu, il suo amore. Lei sei anni fa ha deciso di
vivere per e con te! Non certo con un uomo. Diceva che un amore
nella sua vita cera stato e sarebbe stato
lunico,
Sono passati quarantanni...
E allora? Quel che è detto è detto e dovresti sentirti
tradito anche tu. Tenerti così alloscuro di tutto.
Io lo sapevo e ne sono stato felice come lo sono ora. Tu
non accetti perché non capisci quale sentimento sublime e
ineludibile stia provando, giacché non ami nessuno al
mondo.
Fu come uno schiaffo in pieno viso, fu umiliante. Avvampò in me
la fiamma di una rabbia che non avevo mai provato, mi misi ad
urlare Che cosa? Io amo tutti! Tutti, stupido stupido
ragazzo. Vattene! Vattene! Ti odio quando sei così e lasci che
la tua presunzione parli. Appoggiai il viso sulle ginocchia
cingendomi il capo con le braccia per non mostrare il rossore.
Ma di cosa hai paura? Chieditelo una buona volta. Hai paura
della precarietà e non capisci che è lunica condizione
che possiamo mai conoscere. Hai paura del futuro, di tutto, della
radio, del cinema, dellautomobile e persino del treno!
Dannazione.
Franz, perché mi dici queste cose?
Lo so che non è facile ammetterlo, anzi, non lo so, ma
forse lo immagino. La verità -e prova a pensarci seriamente- è
che niente ti ha davvero attraversato lo spirito. Ti affezioni e
basta. Non aneli, non trepidi... vivi in una cupa pace dei sensi
e anche del cuore in parte. Mi parlava lentamente, e
riuscì a calmarmi, regalandomi contemporaneamente una nuova
intuizione. Alzai il volto, in attesa. Vedi, io credo che
lamore sia come la musica che mi ha fatto sopravvivere nel
ricordo e vivere nella sostanza. E come il miele che ha in
sé i caratteri della natura illimitata e insieme quelli della
finitezza della vista, del tatto... è idea e forma. Come quando
ti ho toccato i capelli oggi, era il sentimento che si svolgeva
in gesto materiale. Questo è, per me, e anche per Clara. Come il
gusto del miele incontaminato. Atto, poi potenza e infine di
nuovo atto.
E per questo che vi invidio. Per questo non ho
difese.
Lo guardavo smarrita eppure ritrovata, forse gli occhi mi
brillavano. Parlò ancora, Adesso sei più bella, quasi
come oggi, nella capanna di Gustavo. Vorrei darti un bacio.
Non posso.
Lo so, ed è questo il tuo dramma.
Abbassai lo sguardo e poi subito, percorsa da un fresco brivido
sconosciuto, lo rialzai. Franz, suoneresti per me?
Suonerò per te, ma prima voglio sapere una cosa, se
sceglierai la vita oppure, ancora una volta il sonno.
Dormire, dormire... sognare forse. Non posso più parlare,
capisci. Non posso più nemmeno pensare, per ora, fui presa
per un istante dalla musica dei grilli; ancora una volta il mondo
mi salutava. Era molto tempo che aspettavo questo giorno,
Franz. Ma vedi, ora mi chiedo... si va sempre solo avanti o
sempre solo indietro?
E mi portò a casa, tenendomi per mano. Attraversammo la sera
senza nuvole, né luna, avvolta solo nella propria luce di
stelle. E suonò per me per molte ore -ma nessuno protestò-.
Quel venerdì di agosto non più troppo caldo ormai, Franz mi
fece piangere tutte le lacrime che sino ad allora non avevo
pianto, caldissimi cristalli di sofferenza e stanchezza, una
stanchezza che riconobbi.
La mattina dopo me ne andai, tornai a casa, sola, e non mi
fermarono. Non avrei potuto trascorrere altro tempo
allombra del fico, ascoltando il tempo che passava vuoto.
Salii risoluta sul treno, senza guardarmi troppo alle spalle.
Avevo un po di rossetto sulle labbra e una lettera in
tasca.
Ti faccio dono
della goccia
che ora tocco.E tu vorrai! -che cosa?-
Bagnarti il viso,
come fosse un fiume
lacqua che ti porgo,andare sola
come fosse strada
il sogno che ti canto.Franz