Liceo Scientifico "Paolo Frisi" - Monza

Concorso Letterario "Federico Ghibaudo"


"MULTIPLEX DOMUS"
(ovvero il labirinto)

di Paola Cossa - 3aA



6 marzo 1998

Ero tornata a casa verso le due, due e trenta,... o forse erano già le tre. non so... Ero entrata in camera mia e avevo acceso la luce più per cercare di svegliarmi che per vedere meglio, dato che il sonno accumulato in una settimana e la birra in una sera mi avevano fatto ciondolare in una stato di trance. Ricordo che ero uscita presto, con un programmino niente male: pizza con le amiche più care e poi tutti, la mitica compagnia al completo, nel nostro pub preferito per festeggiare il mio diciassettesimo compleanno.
E sì, dato che tutti invecchiano prima o poi, ogni sei marzo tocca a me, e quindi, oltre all’arduo compito di pagare da bere a tutti e di non ubriacarmi prima delle nove e un quarto (ora della nascita), come promesso a mia madre, avrei dovuto aprire un’altra porta ed entrare in un nuovo labirinto in cui mi sarei dovuta destreggiare tra vicoli conosciuti e già percorsi e strade mai viste prima, forse anche troppo nuove per capirne la direzione. Ero consapevole di tutto ciò e ci avevo riflettuto a lungo mentre aspettavo con ansia di mettermi alla prova e di misurarmi sotto ogni aspetto, ma inspiegabilmente priva di qualunque angoscia.
Comunque mentre mi preparavo per andare a letto, un po’ dispiaciuta del fatto che avrei dovuto aspettare ancora un anno prima di consumare i “Grazie!” come risposta agli “Auguri!” e di ritornare alla semplicità del contatto fisico dei tre bacini, persa durante le tempeste ormonali, cercavo invano di mettere a fuoco alcune immagini di quella sera per poter fare un vago resoconto di quanto cavolo avessi bevuto!
Dio mio non capivo più nulla e il cacciarmi sotto le coperte nello strano abbraccio materno del mio letto, usato spesso come rifugio estremo, mi aveva fatto sentire tutto il calore della tranquillità impossibile da percepire di giorno. Avrei voluto essere un po’ più cosciente e un po’ meno stanca per respirare ancora per qualche istante quell’avvolgente sensazione, ma ero già piombata in un sonno a metà strada tra il più profondo, in cui non senti nemmeno tua madre che sbraita alle sette e trenta perché devi andare a scuola, e il più leggero in cui ti sembra di fluttuare al ritmo del tuo respiro a oltre venti centimetri dal letto. Mi dovettero passare davanti una serie di colori, situazioni più o meno reali, volti ben noti di persone più che sconosciute, luoghi deserti e affollati e una caterva di nomi così velocemente, o forse troppo lentamente, per farmi capire che avevo veramente esagerato con l’alcool. Non so con quali forze, comunque mi alzai, decisa ad andare in cucina e prendere qualcosa per il mal di testa. La maniglia della porta di camera mia era inspiegabilmente calda e morbida, invitante, e per un attimo mi era sembrato di scivolare attraverso il buco della serratura prima ancora di aprirla.
Piano piano, mano a mano che il mio campo visivo si allargava verso la mia destra, mi dovetti accorgere che di fronte a me non c’era l’anticamera con i cappotti appesi, ma un corridoio di mattoni rossicci e pieni di scritte, fotografie, frecce colorate e simboli. Mi sfregai gli occhi e poi li sbatacchiai un po’, provai a riaprirli: l’immagine era più nitida, però... era sempre quella. Rimasi un attimo perplessa, cercando di capire cosa ci facesse lì quel corridoio che portava chissà dove. Feci un passo avanti, e un altro... e un’altro ancora, mi piaceva camminare. Ero tranquilla anche se non sapevo dove fossi o dove stessi andando.
Fin dall’inizio la mia attenzione era stata catturata da un foglio bianco appeso alla fine di questo corridoio, e quindi, ...perché non andare a vedere? Mi avvicinai e iniziai a leggere senza fatica perché comunque tutto era ben illuminato.

“CIAO PAOLA, BENVENUTA! TI ASPETTAVO CON ANSIA. LASCIA CHE MI PRESENTI: IO SONO IL LABIRINTO CHE TI OSPITERA’ PER QUEST’ANNO. DOVRAI PERCORRERE TUTTE LE MIE VIE, MA SARAI TU A DECIDERE IN CHE ORDINE, IN QUALE FERMARTI, CHE PERCORSO SEGUIRE E COSA APPENDERE SUI MURI. LO SO CHE ORA TI POTRA’ SEMBRARE UN GIOCO, MA E’ MIO DOVERE AVVERTIRTI CHE IN ALCUNI MOMENTI SOFFRIRAI, AVRAI PAURA, SARAI IN DIFFICOLTA’. ANCHE NELLE SITUAZIONI PEGGIORI PERO’ NON TI SCORAGGIARE E NON PERDERE MAI LA FIDUCIA IN TE STESSA PERCHE’ RICORDA: IN QUESTO LABIRINTO CI SEI SOLO TU, E TU SEI L’UNICA COMPAGNIA E L’UNICO CONFORTO CHE HAI. VAI AVANTI SEMPRE COL SORRISO SULLE LABBRA PERCHE’ QUI NON C’E’ NESSUNO CHE TI GIUDICA, E TU SEI L’UNICO PADRONE DI TE STESSO. NON TI ANGOSCIARE SE NON RIESCI A CAPIRE DOVE STAI ANDANDO, PERCHE’ TANTO QUI NON DEVI ANDARE DA NESSUNA PARTE, NE’ RAGGIUNGERE NESSUNA META, DEVI SOLTANTO FAR VIVERE TE STESSA FINO IN FONDO E MANTENERE L’ATTENZIONE SU DI TE, PERCHE’ QUI CI SEI SOLO TU E QUESTO E’ IL TUO LABIRINTO. IO DA PARTE MIA TI AUGURO DI DIVERTIRTI E DI IMPARARE MOLTE COSE, PERCHE’ QUESTO E’ IL MOTIVO PER CUI SONO STATO CREATO.”

Se prima ero euforica perché sapevo di iniziare un’impresa nuova che mi avrebbe coinvolto interamente e che sentivo come solo mia, non posso negare che quel cartello mi aveva infuso nelle vene un po’ di paura e di angoscia: non riuscivo a capire perché mai per “visitare” questo labirinto avrei dovuto isolarmi dagli altri e stare sola con me stessa, insomma... è un labirinto o una prigione? Mentre tentavo di riflettere, anche se sarebbe più corretto dire che fingevo di riflettere, notai vicini al cartello una freccia nera che, ne ero sicura, mi avrebbe portato all’uscita. Iniziai a camminare nella direzione che mi indicava, sempre più convinta che a questo stupido gioco non ci sarei mai stata... che cavolo di vita sarebbe, lì, sola, a girare per quelle vie... ma chi mi obbligava a farlo? E se “nessuno” era la risposta, me ne dovevo andare. Ero abbastanza innervosita e quando arrivai al primo bivio la situazione peggiorò. Dove erano finite le frecce nere? Da che parte dovevo andare?
Mi giravo e rigiravo su me stessa, muovendo gli occhi rapidamente e facendo qualche passo prima in una direzione e poi nell’altra... Fortunatamente poco più in là ne vidi una: un secondo in più e sarei scoppiata dalla rabbia.
Anche per sfogarmi iniziai a correre, sentendomi vittima di una presa in giro. Imboccai più vie: destra, sinistra, e corri, e cerca le frecce nere, tutto senza badare a ciò che mi stava intorno. Ma quando mi ritrovai ancora di fronte al cartello, mi accorsi che forse, anzi, certamente, quella era proprio un presa per il *** (tutti abbiamo capito cosa).
Ma non poteva essere, avevo seguito le frecce attentamente... Riprovai a fare quel giro per una seconda volta, cercando le nere traditrici anche in altri corridoi vicini, ma niente: ero ancora lì! “Ma non è possibile!” gridai mentre le lacrime iniziavano a bruciarmi in gola e le scintille di euforia che scappavano da quel fuoco si spegnevano in aria. “Non è giusto!” e come al solito me la prendevo con Dio o con il destino (come spiega il mitico Liga) o con qualunque nome vogliate dare alla forza superiore che credevo si stesse prendendo gioco di me. Mi sentivo imprigionata, costretta in un luogo che non mi piaceva più, sola e piccola. Scivolai per terra, mi abbracciai le ginocchia e nascosi la testa tra le braccia. Alzando lo sguardo per cancellare con la mano destra una lacrima che mi stava scivolando sulla guancia, notai che mi ero seduta vicino ad uno specchio coperto da polvere secolare. Allungai timidamente la mano, lo afferrai e, singhiozzando sempre più lentamente, buttando giù grandi boccate d’aria, per bloccare per qualche istante il respiro, lo avvicinai a me. Ci soffiai sopra facendo rotolare la polvere nell’aria per qualche secondo. Nonostante ciò non riuscivo a vedermi nitidamente, però un po’ più confortata, mi alzai e lo appesi alla parete. Mentre lo sistemavo su un chiodo, continuando a fissare i miei stessi occhi lucidi e colmi di una dolcezza smarrita quasi infantile, mi accorsi che l’immagine diventava sempre più precisa e luminosa e lo specchio si ingrandiva intorno a questa, fino a ritrarla fedelmente per intero. Mi osservai un po’ stupita di tutto quel bagliore che continuava ad aumentare, ma quando mi accorsi che la luce non proveniva dallo specchio ma dal mio corpo, dalla mia aura, sorrisi a me stessa con una dolcezza incoraggiante. Per qualche secondo mi sentii stupida per non aver capito subito, ma poi tutto si fece più chiaro.
Mi guardai attorno per dimostrare a me stessa che non c’era nessun’altro in quel luogo, ma che tutto era pieno di me! Ne fui molto soddisfatta: mi sentivo una grande, e lo ero!
Sentii per la prima volta l’amore e la forza nascermi dentro, e crescere, essere parte di me, e sapevo che sarebbero stati quelli i miei compagni di viaggio, gli unici capaci di farmi andare avanti con fiducia in me stessa. Rimasi lì a guardarmi per un po’, e sì, ero così bella! Una volta assimilata quell’immagine stupenda, mi sentii pronta per iniziare... ops!... continuare. Osservai allora ciò che c’era sui muri: frecce di ogni colore a volte si intersecavano, a volte erano l’una opposta all’altra e già sapevo che la perseveranza nel seguire un percorso sarebbe stata spezzata dall’indecisione del colore. Avrei voluto seguirle tutte, ma temevo di non averne il tempo e mi ritrovai presto presa dall’imbarazzo della scelta... poi però mi accorsi di non avere al polso il mio inseparabile orologio e questo mi fece sentire sia libera dal suo severo ticchettio, sia persa in un luogo senza tempo. Non volevo angosciarmi nuovamente iniziai a guardare, tralasciando le considerazioni sul trascorrere del tempo, le foto che coprivano i muri e mi accorsi che erano tutte dei ricordi: luoghi, persone, episodi, tutte immagini del passato, su cui il “panta rei” aveva agito in modi differenti, lasciando emozioni uniche che le rendeva speciali. Mi sentivo a casa, avvolta dal tepore del mio passato, unico perché solo mio e svelato a pochi eletti, ma questa sensazione durò poco: ebbi la sensazione che tutto attorno a me fosse falso, dato che i ricordi non sono realtà. E questo lo sapevo bene, come sapevo che si vive nel presente e non nel passato,... ma nemmeno il presente è reale! E allora dov’è la realtà? E a cosa serve il passato se, non essendo realtà, non ci permette neppure di capire il presente? ...Ma dove cavolo ero finita? In un libro di filosofia? Se fossi andata avanti così ancora per un po’ credo che avrei iniziato ad accarezzarmi i capelli come fa la mia prof. E quindi decisi: basta con le domande, o meglio, basta con la ricerca di risposte: come al solito sarebbero giunte spontaneamente quando meno me lo sarei aspettata.
Scoppiai a ridere. Capii che mi stavo divertendo e che quindi ero entrata nel gioco con lo spirito giusto.


...E’ da un po’ che sono seduta qui a scrivere domandandomi se mai vi fregherà qualcosa di quello che sto raccontando, ma non importa, al massimo questi fogli resteranno a me come... ricordo. Sapete? Sono curiosa di scoprire a che punto siate voi del vostro “Labirinto”. Io posso vantarmi di aver superato le fatiche maggiori, ora mi aspetta solo il resto della vita da diciassettenne e penso che per questa parte del programma uscirò dal mio “Labirinto” per passarla con voi!
No, no, non è una fuga della solitudine o il rifiuto di stare con me stessa, è che finalmente ho capito cosa vuol dire vivere per sé insieme agli altri! Cosa? mi chiedete se ho paura? Certo che ne ho! E anche tanta! La paura vive in un angolo buio vicino a me ed è pronta ad attaccarmi quando mi dimentico di lei, ma questa volta ho deciso di puntarle la torcia negli occhi e di vedere che faccia ha, la bastarda!
E allora non si potrà più nascondere, né combattere (è troppo debole), potrà solo scappare, ed è meglio per lei che lo faccia in fretta, altrimenti sarà travolta dalla mia allegria... e ci potrebbe rimanere molto male.


...E ora che ho finito di scrivere, spengo il computer, accendo la torcia e apro la porta... sto arrivando!