Liceo Scientifico "Paolo Frisi" - Monza

Concorso Letterario "Federico Ghibaudo"
3° Classificato - 1998

"ORA DORMI..."

di Lucia Gardenal - 2aI




Ora dormi... Da oggi in poi sarò io a cullarti. Ho paura papà, e fa freddo. Fa freddo ed è buio, e il buio mi spaventa papà. Mi lasci qui, sola in questa mia vita, in questo immenso e intricato labirinto che mi travolge e mi abbraccia, stringe, soffoca come un vortice tra la sue pareti...
Buonanotte papà.

No, non mi perdo, non voglio perdermi, ma è buio e fa freddo: dove sei papà? Vedo le ombre della gente perdersi tra infinite colonne di marmo e trovarsi subito coi piedi sul soffitto cristallino e cammino, cammino, cammino fino a trovarmi di fronte a una parete, forse due, tre... diecicentomille... Non riesco a respirare: è così che ti sei sentito papà? Ci sono tante cose che avrei voluto dirti, ma il tempo è stato più veloce a toglierti la vita che a darmi la parola: un giorno, un gelido giorno d’estate, mentre mi cullavi, ha sciolto con prepotenza il tuo abbraccio e ti ha trascinato via... per sempre. E ora qui. Non respiro. Stretta da alte pareti ombrose, lamine d’acciaio che mi trafiggono, i passi come valanghe, le parole come il lamento dei venti che arrivano da nord. Posso scegliere, ma ho paura papà. Potrei andarmene, ma è difficile papà. Vorrei scappare, ma non posso papà. Ho con me una pesante valigia, ogni pezzo di cielo che ho trovato sul mio cammino dorme lì dentro.
Mi trovo sola. Non so come uscire. In alto una stella, mi porta la luce, mi danno una mano, l’afferro. Mi porta lontano. Sentieri tortuosi, lunghi e ripidi corridoi da percorrere; e ora qui, muri come specchi: vedo la mia luce in cielo, poi me stessa bimba, sola in mezzo al vuoto che mi hai lasciato, e la mia immagine presente e la tua... Sento il respiro di piombo, il battere sordo del cuore... Mi manchi papà.
Sogna il tempo di rapire la vita, aggancia i corpi con gli uncini degli eventi e irrompe nell’anima calpestandone le passioni. Una grotta laggiù, cava e sorda. Ci sentiamo soli contro il cielo, piegati dal destino, figli di una luna che sta lassù nascosta. E i nostri sogni arrancano e naufragano poi in fertili terre. E si nascondono in grotte tra lo scrosciare silenzioso di un fiume che corre.
E io sarò per te quel fiume che ha raccolto tutte le speranze, correrò senza farmi sentire da nessuno, così lievemente avrai raggiunto i tuoi sogni. E piangi quando il mio viso si bagna di lacrime: sto portando avanti per te quel cammino che ti è stato sbarrato. Ed è così che mi riscaldo, papà. Ma qui è di nuovo buio papà. Credo ancora nelle fiabe. No, non ci credo: esiste un lieto fine? Non esiste il lieto fino, ma tutto ha un fine. Fine, fine come la fine di quel fiume, fine come la fine di una preghiera, fine come l’inizio del buio, dei bivi, delle belle parole urlate contro tutti. Fine è la fine. Il senso di angoscia soffocato in un singhiozzo.
Ora cammino su un lungo sentiero trasparente. Sotto di me i passi falsi, quelli che ho fatto o che avrei voluto fare, gli sbagli e quella marea di errori. Poi mi fermo e cerco di guardare profondamente lì sotto: vedo me stessa, vedo che in quel momento non ho sbagliato; eppure il vetro si è incrinato... il labirinto si stringe papà. Ritorna la mia stella. Brilla di un candore avvolgente, mi riscaldo trepidando con dolcezza.
E giungo qui, il paradiso rinchiuso tra sciami di raggi solari, una stanza di vita inesplorata e acerba. Esiste, dunque, in questa scatola qualcosa di così straordinario? Esiste e mi travolge senza che mi sia dato il tempo di capirlo.
La felicità è qualcosa di molto più improvviso, un inspiegabile fulmine che colpisce tanto velocemente quanto esiste. Ma la solitudine, la tristezza, papà, sono forze che arrivano da lontano e si sentono come il fischio di un treno: si avvicinano, crescono, dilagano. Sono sentimenti logoranti, papà, e la loro negatività sta nel fatto che si è consapevoli che esistono in noi.
La felicità non è così: sai di tenerla in pugno e non te ne curi. Pensi che sia eterna e non la tieni stretta. Non ti accorgi che è volata via fino a che non si spegne il sole intorno a te... L’ho persa e non lo accetto, l’ho voluta, non ho potuto trattenerla. Ascolta papà: lo senti? Il frusciare delle ombre lo senti? Scopro ciò che realmente sono coloro che vivono intorno a me...
Percorro, uscita da quell’Eden fuggitivo, un vicolo strettissimo. Lo vedi? Le ombre ai lati come statue, riconoscono l’assenza dei miei amici; tu... tu non puoi essere realmente così. Ti riconosco e comprendo ora le tue scuse gelide e insensate a cui preferivo credere. E tu... mi scaldi quando la mia stella... Ho poco in cui credere. Forse che qui ci sia anche la mia ombra? Ho paura papà, ho il terrore di scoprirmi. E se fossi diversa da come credo? E se avessi poco di quello che penso? Ho paura papà, temo di conoscermi...
Fa ancora freddo, papà, e non ho più la mia stella.
Solo il vento che sospinge le nuvole soffiando, solo le nuvole sospinte dal vento che soffia. Avanzano. Lentamente si fermano. Indietreggiano velocemente. Così io. Torno indietro, cammino senza voltarmi e non so se fidarmi delle mie gambe: dove mi portano?
Solo il suono del mio corpo che cammina in mezzo al vento: ulula. Uno sbattere di porte, un soffio gelido alla schiena; c’è corrente quaggiù e devo cercare un riparo... forse lì in fondo... un angolo solo per me solo mio, soffice e caldo, materno. E’ primavera, il tempo si è fermato; sopra di me il cielo macchiato dal candore delle nuvole, il brillio del sole sbiadito dal fragile riverbero della luna. Dolce freme il mare disegna cristalli sugli scogli popolati da pochi gabbiani. Silenzio. Seguo le mie orme sulla sabbia. Ho preso ciò che è mio e lo tengo in pugno tra una manciata di granelli dorati. Ho fatto mio quel cielo e quelle nuvole, papà; ho preso quel sole e quella luna, papà; mi sono bagnata con l’acqua di quel mare e ho lasciato le mie paure in custodia dei gabbiani. Volate via, su, in alto, sopra le stelle, sopra la notte, via da qui, via da me. Ora ho capito papà, ma ancora mi manchi e tutto torna gelido. Piove, papà, e sto correndo, corro, ma il tempo è più veloce. Voglio spazio, minuti eterni, voglio tempo! E’ difficile, papà. Accettare questa cosa. E’ terribile: nascere e scoprire la vita mentre tuo padre muore e capisce che non vivrà abbastanza a lungo per poterti vedere crescere.
Ogni volta che mi trovo a percorrere questo intreccio di camere e corridoi sento l’eco della mia anima: perché papà? Sento le sue risate cristalline che malignamente mi portano a soffocare i desideri. Non senti anche tu? Vorrei andare avanti, ma questo lo volevi anche tu e non è rimasto altro che la tua anima. Il corpo è fuggito, strappato da questo mondo: è rimasta la sua essenza che talvolta esala come un profumo la sua pienezza. Mi chiedo se sia possibile chiudere la tua anima in una scatola per tenerla con me sempre! Io il corpo, tu l’anima, tu il pittore, io il dipinto: la mia vita lo specchio in cui puoi ancora vivere.
Tutto è buio, riesco solo a sentire il tepore di un falò vicino, solo a capire che stringo ancora quei granelli, che sto realizzando i miei sogni.
Ora dormi... da oggi in poi sarò io a cullarti.