Liceo Scientifico "Paolo Frisi" - Monza |
Coro di ombre rosse del Tartaro:
Tu Minosse , re tra re,
Giudice legislatore;
Ora un orrido regno
reggi costretto dal Caso.
Prepararono un bagno,
Le figlie di Cocalo,
Dove le tue membra
Bollirono nella pece.
A causa di Dedalo
Le ombre infelici
Di questorrido regno
Amministri invece
Dellimpero terreno
Che dalla piccola Creta
LEgeo assoggettò.
Svela il tuo mistero
Degno figlio di Zeus.>
Minosse:
Lemuri, siete morti e sepolti, parlare a voi é come fare due
chiacchiere con una zolla di terra grassa.
A che vi serve capire, siete morti.
Lemuri, siete noiosi come una lezione paripatetica, di quelle
tenute sulla morte e sulla deontologia del condannato alla
cicuta... ma non farla tanto lunga e muori, dico io!
Meglio essere schiavi ma vivi che regnare
nelloltretomba, confessò lo stesso che disse:
Meglio un giorno da leoni che cento anni da pecora.
Sono costretto dite bene, che qui nessuno ci resta per diporto:
un tal mortorio!
Anche lumorismo, suprema dote delluomo, alla fine, è
da seppellire.
Daltronde qui si cerca di ammazzare il tempo in eterno,
sapete, non si può certo restare luttuosi e castigati per
leternità. Così delibero: soddisferò le vostre aride
menti.
Chissà che non cambi, davvero, qualcosa.
Non fu Dedalo a uccidermi, ma il suo simulacro, in primis; la
sete di sapere mi perseguitò sempre, o meglio io perseguitai
lei, antropomorfizzata nel mito; si sa il mito è una bellissima
menzogna.
Perseguitare Dedalo rappresentava la ricerca incessante della
conoscenza, della fiammella di Prometeo e anchio, essendo
fatto della stessa pasta un po gretta, terricola del titano
sono morto nellincompiuto sforzo di farla mia, bollito come
il fanciullo Zagreo.
Ma quale fu la mia vera condanna, a parte avere per moglie una
vacca?
La ricerca che, per tutta la mia vita, compii dentro di me.
La vita, concessa, non stiamo a dire da chi, alluomo, è
una vita già conclusa, limitata, non lo nego; ma è un
opportunità che va gustata per trarne piacere in ogni istante,
poiché non ci si bagna due volte nello stesso fiume.
Non è saggio colui che trascorre la sua esistenza a domandarsi
Che cosè.
Io ero re, ricco e potente, questo lo sapete, oh ombre.
Invece non si dice perché non sta bene, che ebbi un sacco di
amanti. Io credo che la fedeltà sia la scusa degli impotenti,
infatti non vi nascondo che tradii mia moglie Pasifae più che
potei: ebbi Crete, la ninfa Paria e la ninfa Dessitea, Britomarti
che preferì il mare a me, Peribea, Procri e altre; qualche
tradizione aberrante racconta che contesi Ganimede a mio padre o
che me la feci anche con quel bel tomo di Teseo.
Insomma me la spassai più che potei.
Ma poi anchio mi chiesi ti esti? e precipitai
in una affannosa introspezione. Mi avventurai nella costruzione
più complicata e inesplorata che sia mai esistita, una
costruzione inevitabilmente legata al mio nome, matrice della
tragedia umana.
Il cervello non ricorda forse, anche strutturalmente, con tutti
quei cunicoli incomprensibili, con le sue camere segrete, coi
suoi recessi inacessibili, un labirinto?
Avete presente la mia figlioletta, Arianna? Ecco lei con il suo
buon filo, è la memoria, dote suprema delluomo, mortale
anchessa ed è per questa sua caducità, che ha bisogno del
supporto cartaceo. Noi tutti scriviamo convulsamente pagine e
pagine nellinsulso, umano tentativo di trascrivere quello
che troviamo nel nostro viaggio infernale attraverso la nostra
mente, ma non si può spiegare; le pieghe della corteccia
cerebrale non si possono distendere come una tenera pergamena.
Quel poco che sopravvive grazie alla gentile Arianna, sono
immagini, lampi di suggestiva intensità ma, ahi noi,
inesprimibili. Si dice che Memoria sia madre delle Muse,
intendendo che le arti, con la loro virtù metaforica, possono
rappresentare queste immagini. E una menzogna.
Anche il potente Apollo, che presiede alla suprema arte
gnoseologica, la poesia, non rischiara ma abbaglia. Egli dovrebbe
stracciare il velo. In realtà cambia la forma, ma lenigma
resta: Conosci te stesso!, e che cè di nuovo?
Bella forza! Ho passato tutta la mia vita a sbattermi su e giù
nel labirinto, senza consultare nessun oracolo.
Alla fine, del discorso e del labirinto, sta una cosa molto
semplice, per assurdo; ed è proprio per questa sua lampante,
corrusca semplicità che non è accessibile a nessuno. Anche
quello che dirò ora, sarà soltanto la perifrasi della verità,
lerrore che ci è dato di conoscere, approssimativo ma di
cui ci dobbiamo accontentare, guai a non farlo. A cosa servirebbe
il mito altrimenti?
In fondo, nel centro del labirinto, abita laspetto
primordiale delluomo, lanimale prima di essere
sovraccaricato di razionalità, listinto, il dionisiaco
imprigionato nelle plastiche forme apollinee, les: il
Minotauro.
Non vogliamo lasciarlo uscire, perché ci terrorizza e
daltronde non possiamo, chi arriva al Minotauro non torna a
raccontarlo.
Quindi questo lungo monologo è solo unaltra bugia.
Il viaggio che si compie nel labirinto è solo un giro su se
stessi, una tautologia, una trappola temporale che mi ha tratto
in tentazione. Purtroppo il Caso ha predisposto che io fossi un
esempio.
Io sono solo un deuteragonista in questa tragedia, ma non conta.
Il protagonismo è stressante.
Quello che conta, ora, è la morale, perchè senza moralina
finale non si vende: prendete la via larga e visibile, sempre.
E ora avanti, bastardi, in fila, che prima o poi tocca a
tutti!>
Coro:
Minosse, re di Creta
Giudice del Tartaro,
Così hai risposto:
La verità fa male.
La verità è questa:
Non abbiamo capito
Proprio un c--o
Questo è un bel finale.>