Liceo Scientifico "Paolo Frisi" - Monza |
Il silenzio mi avvolge, sono sola in questa stanza semibuia,
aspettando ormai solo il sorgere del sole. Notte in bianco, notte
di pensieri. E stata lunga, lunga e dannatamente dolorosa.
Ci sono stati momenti in cui ho avuto veramente paura, anche se
so bene che le cose non cambieranno, né in un senso, né
nellaltro.
E un freddo ospedale dalle pareti tinte di azzurro, di
giorno così strano: azzurro fuori, azzurro dentro, è come
essere tra le nuvole, nuvole bianche di letti e lenzuola pulite.
Poi però il cielo si mischia al prato perché tra le nuvole ci
sono i fiori, i malati, con i loro pigiami multicolore che
confondono gli elementi. Il reparto rianimazione è però diverso
dal resto, tutto bianco, fa quasi paura a confronto, è come
lanticamera dellobitorio. E strano come il
bianco alle volte possa sembrare così freddo. Guardo il suo viso
ancora perfetto, dormiente, illuminato da una flebile lampada e
dalle lucine dei macchinari, e ripenso a quando lho
conosciuto. Comera bello stagliato contro il sole
dagosto! In riva al mare, così pieno di vita, mi ha
guardato e sorriso, infine si è seduto accanto a me ed è stato
lì che è iniziato tutto...
Sono qui seduta al suo fianco, anche se so che non dovrei
esserci. Non ci siamo lasciati molto bene. Negli ultimi tempi
parlavamo sempre di meno, lui continuava a frequentare quegli
stupidi del suo quartiere, Tanto per divertirmi
diceva, ma in realtà si lasciava parecchio condizionare. Con
loro passava interi pomeriggi in autodromo sulle moto e intere
notti in stazione a fare pezzi, la sua arte di pittore
impressionista prostituita alla cultura hip-hop, di cui nemmeno
sapeva nulla. Gli bastava disegnare, e fare il figo.
Ricordo quando mi chiese di dipingermi. Eravamo in Villa, io
sdraiata su un tronco dalbero, lui seduto sul prato con in
grembo il suo blocco. Devi fare una cosa per me, giura che
lo farai, morrò se ti rifiuti. I suoi occhi mi guardavano
brillanti, vivi. Non muoverti proseguì devo
dipingerti.
Coosa?! Oh no, mai, mi vergogno, trovati un albero, non
sono il tipo...
Il tipo per cosa? Non si tratta di te, si tratta di me! Ora
che ti vedo lì, così, con addosso la luce del mattino, vedo un
universo di fate e di folletti, vedo la materia dei sogni, vedo
me stesso. Devo dipingerti, devo.
La sera dellincidente litigammo perché io non volevo che
andasse, lo trovavo stupido. Quanto mi secca avere sempre
ragione. Quelli che avrebbero dovuto essere i suoi amici non si
sono fatti vedere qui, ovvio. Ipocriti. Ma io dovevo esserci, se
non altro per dimostrargli il mio affetto e la mia gratitudine.
Lui mi ha iniziata alla vita, lo devo a lui se ora sono fatta di
anima e cuore e non sono unautoma di tacchi e rossetto come
le altre ragazze. Prima che ci incontrassimo ero solo un altro
volto tra la folla, un bel faccino fatto di fondotinta e mascara,
dal corpo stretto in minigonne ipershic e maglie firmate. Il
mondo era unostrica e io solo unaltra figlia di papà
chiusa in una sfera di cristallo.
Poi è arrivato linverno, la scuola, lautogestione e
che sorpresa ritrovarmi la buffa farfalla del mare in cattedra a
tuonare contro Berlinguer! Eppure era proprio lui. Che differenza
tra il costume da bagno e i vestiti trasandati che indossava, lo
preferivo in versione estiva. Ma poi ha parlato, e non erano i
soliti giochi marini o i discorsi prefabbricati dautogesta,
parlava di dignità, duguaglianza, di musica, cinema,
pittura e poesia; era magico. Alla fine andai a salutarlo. Era
contento di vedermi, ma anche lui rimase sorpreso dal mio
stile di vita. Disse che la sua missione era aprirmi
gli occhi oltre il mondo del consumismo. La gente è
strana, quando parla alla fine non dice nulla, discorsi
prestampati per nascondere se stessi, perché ormai la nostra
vera essenza è nascosta anche a noi. O meglio, è sepolta sotto
miriadi di mazzi di carte. Gli occhi ingannano. Vedi quei ragazzi
camminare, con le loro facce pulite, così carini, così ben
vestiti, primi della classe? Bè, non sono altro che mazzi di
carte. Ora chiudi gli occhi, cerca solo il tuo cuore. Immaginalo
in una stanza buia. Il raggio di sole che lo illuminerà, forse
è quel rasta con la faccia da cannaiolo, perché magari in sé
cela un universo, non un numero. Bisogna tornare a credere nei
folletti.
Così con la sua voce da pifferaio magico mi portò in giro come
un bravo gattino, con lui vidi la gente che curava al servizio
civile, vidi i reparti per malati terminali e vidi raggi di sole
in punkabbestia pazzoidi. Piano piano mi insegnò a danzare tra
le via del mondo, a uscire in compagnia senza preoccuparmi delle
apparenze, portando un paio di jeans, un maglione e il mio
cervello. una volta che hai il cervello, hai tutto.
diceva Personalmente, non starei mai con una ragazza solo
per la sua bellezza, poi dovrei passare tutto il tempo ad
ammirarla con le orecchie tappate per non sentire le sciocchezze
che dice! Età, abiti, non conta niente di tutto questo, solo il
cervello... e il cuore, ovviamente. Siamo uomini, non robot. Una
volta che hai queste due cose, hai tutto... Guardò il
blocco Bè, a volte poi servono dei supporti...
Mi mostrò i suoi disegni quel giorno, musica e anima della sue
parole, visioni sublimi, dritte dal cuore. Sono fiera di essere
parte di essi.
Sono qui in questa fredda stanza, mentre fuori avanza forse
laurora, e mi chiedo cosa posso fare per lui. Semplicemente
avrei dovuto salvarlo dalla sua nuova compagnia di spericolati,
ma come si fa a redarguire il proprio maestro? Si pensa sempre
sia invulnerabile, perfetto. E invece una volta istruito il suo
gattino volle esplorare nuovi orizzonti, perché lui è così, in
moto perpetuo. Ma questa volta ha rischiato troppo.
Non può, non deve andarsene, lui diceva La vita è un
dono. Non cè un giorno uguale a un altro. Ogni volta che
il sole tramonta assistiamo a un cambiamento e ogni cambiamento
significa opportunità. Perciò ogni giorno vale la pena essere
vissuto, vissuto tenendo le orecchie per sentire dove va il
vento. Ogni giorno va in una direzione diversa. Sennò perché
ogni tramonto è differente?
Non può finire qui, in questanticamera dobitorio e
con questo insopportabile ronzio, con me sola al suo fianco.
Quando succederà dovrà essere tra le persone che ama, nel suo
studio tra i suoi dipinti, i frammenti della
sua anima.
Fuori albeggia, il sole risale lentamente sciogliendo il buio,
arrampicandosi pian piano sui tetti dei condomini e poi su, su in
alto a colorare il mondo. E una giornata fantastica: è
solo aprile, ma sembra già estate: alberi in fiore, api al
lavoro ma soprattutto gente in strada, ogni genere, compagnie
attratte fuori dal sole e dalla pigrizia delle vacanze di pasqua,
anteprima del giugno a venire. E tuttuna risata, un
allegro kazzeggio.
Non può perdersi un periodo come questo, lui che vive in perenne
attesa della prossima estate e destate in attesa del
natale. Si vive sempre aspettando qualcosa, colora la vita, rende
la gioia inaspettata e quindi ancora più grande perché quando
mai ci si diverte quando si aspetta?
Guardo il sole caldo, sereno, pacificatore, filtra luce e torpore
attraverso le finestre. Troppa quiete perché accada qualcosa, i
macchinari frignano calmi, come sempre. Il dottore entra con fare
di gentile professionalità, dà uno sguardo al mio viso
stravolto. Un pochino meglio forse, può farcela.
Accenna un sorriso e sparisce fra le corsie, come di routine.
Piano piano i miei occhi si fanno sedurre dal sonno, sconvolti da
così tanta luce, dal caldo e dalle risa che cullano
loblio. Non accadrà niente se dormo un po. Andrà
tutto bene. Sono in attesa. Nessuno lascia le cose a metà e la
nostra è una storia a metà. Devo dirgli che ho visto danzare i
folletti sulle sue lenzuola stanotte, che è il mio raggio di
sole, che lo amo, che...