Liceo Scientifico "Paolo Frisi" - Monza

Premio Letterario "Federico Ghibaudo"
Premio Speciale Giuria

“f f”
“Le crâne - rasè - est signe - da la tranchance”

di Matteo Pozzi - 5aI



Si svegliò la mattina successiva, sussurrando il refrain “sono una cosa insensata, scevra dal senso, sono una cosa insensata, scevra dal senso”: messe, da parte, tutte le ambizioni e tutte le perdite e gli allontanamenti, e pregò per un giorno tutti gli prestassero attenzione. Non capiva più nulla, e questo alimentava il vuoto orrido che tutto, a un tratto, gli era montato in testa, circa le parole. Aveva fatto sempre della loro esuberanza corposa, unta, insaccata, una religione, la religione delle intenzioni, e della oralità fisica, travisandosi sempre, certo. La geometria, la geometria, la crâne rasé: ecco quello che ci voleva. E più ci aveva pensato sempre, e più eccedeva in showdown, in manierismi, in colpi di scena. Così finalmente decisa quel giorno di stare zitto.
E fu notte, ed ei fu strano.
Si svegliò la mattina successiva, ed il sussurro, solo nel pensiero, eppure, permaneva. La velocità del processo di incendio, come come nelle tute russe il cosmonauta, color luna, attraverso i cieli, piangendo, era alla fin fine la sola cosa che alla fin fine lo preoccupava, eppure, non era così netto, bigio, grigio su bianco, stanco: fortissimo: sapeva, e lo sapeva, che nessuno capiva, e nessuno avrebbe capito, e che nessuno avrebbe capito, era certo, fatto forte, fortificato; era veloce!! L’orrore era che nessuno capiva che avrebbe voluto, se lo avesse voluto, essere come quegli avrebbe voluto che fosse, sempre sotto le stelle, con tutto le esuberanze degli anticonformisti, con tutte le brave libertà degli anticonformisti, con tutte le dimostrazioni degli anticonformisti, senza una singola ripetizione, una singola virgola, una singola schiumetta che non fosse là dove uno bravo, e bello, e originale, come erano in troppi, la avrebbe posta, a cena, senza che prendesse, come in Umbria, e caldo e freddo, pansecco, e terra, tanta. Ma quanti (...il manoscritto si interrompe improvvisamente...) Ma quante (...il manoscritto si interrompe, prontamente...) Oh ma quante belle cose!! Così finalmente decise quel giorno di stare zitto, nella testa.
E fu notte, ed egli fu straniero.
Si svegliò la mattina successiva; desiderando desiderando fortissimamente, come se potesse, e non volesse, per maggior godimento, svuotare la vescica sulle maioliche rosa, con tanta, davvero, violenza, una violenza finalmente scevra dal male: ma non vi riusciva, e non aveva la minimissima intenzione di coricarsi: di far convergere.
Di far convergere addosso a se stesso tutte tutte le preghiere di tutta la brava gente, e che quella cattiva lo rispettasse, e lo temesse, e viceversamente; di potere alla fin fine, circolando, declamare, senza bocca aprire che fosse la sua, la vergogna ultima della poesia, dell’essere uomo, dell’essere uomo, passare: alla forma breve, la vita linda, la vita felice. Così finalmente decise quel giorno di stare: e sorrideva, e sorrideva, e sopra tutti, stava.
E fu per sempre notte, e straordinario.