Liceo Scientifico "Paolo Frisi" - Monza |
di Elisabetta Valcamonica - 3aG
IL PORTO SEPOLTO
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
dinesauribile segreto
G.Ungaretti
Il Poeta camminava lungo la via deserta, attraverso
laria fredda e ancora buia dun mattino darido
inverno. Le foglie sulle strade erano monumenti di brina gelata.
Soltanto un grosso merlo dal becco giallo saltellava infreddolito
nellaiuola di ghiaccio. Era lunico segno di vita.
Tuttintorno era silenzio, come se la notte avesse
ammutolito la Terra, come se avesse fermato col suo alito di
vento una musica lontana... ed ora il Poeta poteva sentire quella
musica interrotta, poteva sentirne la magia, e ascoltava in quel
silenzio la voce di mille parole che gli portavano un canto
fatato dentro al cuore, un canto che penetrava sotto i suoi
vestiti pesanti e gli purificava i pensieri, scacciava il dolore,
scacciava unidea insistente, unidea malvagia,
unidea insensata.
Non avrebbe più scritto.
Ne aveva già avuto la tentazione, ma non laveva mai fatto.
Non se la sentiva di chiudere per sempre il suo quaderno, non
poteva impedire alle emozioni dacquistare quella forma,
anche se difficile da ottenere e dolorosa da cercare. Non ci
riusciva.
Ma che importava, in fondo? Cosa gli dava la poesia?
Forse era solo un capriccio, una cosa da bambini. Ma lui faceva
sul serio, scriveva sul serio. Non contava proprio nulla questo?
Da un po di tempo si sentiva come uno straniero in quel
mondo che lui stesso aveva creato.
Era come se gli si stesse rivoltando contro e stesse acquistando
realtà autonoma, indipendente.
Si sentiva tradito. Aveva cominciato a scrivere quasi per gioco,
ma lentamente aveva compiuto il percorso della consapevolezza,
che lo aveva portato ad attribuire alle parole quel giusto
significato di rivelazione. A fatica si accorse che esse
conferivano ai sui occhi uno sguardo nuovo, liberandoli dai
confini che prima lo tenevano prigioniero. Aveva imparato a
trattare con rispetto le parole.
Aveva capito che ne andava della vita.
E così molte volta lasciava che fossero le lacrime a scendere
sulla pagina e dettare le parole; altre volte invece gli bastava
guardare fuori dalla finestra, e allora erano il sole, la pioggia
e le nubi, le piante ed i passeri ad evocare i pensieri. A volte
le immagini nascevano inaspettate, e persino lui se ne stupiva.
Tutte le volte scopriva qualcosa di nuovo. Ma nonostante questo,
sapeva dare il giusto peso alle parole.
Eppure non avrebbe più scritto.
Quella mattina cercava di allontanarne lidea, ma non era
affatto facile. Camminava lungo la via deserta, e cercava di
svuotare la mente, paradossalmente per non sentirsi più solo.
Si chinò, e prese tra le mani una delle foglie ghiacciate. Era
perfetta, perfetta nei suoi piccoli cristalli di brina. Ed era
per lui, solo per lui. Soltanto lui che laveva fra le mani
poteva godere di quella sua strabiliante perfezione. Il resto del
Mondo dormiva ancora. Era troppo presto. In cielo cera
ancora la luna...
...è quasi luna piena, sempre là, sempre serena,
oppure anche lei piange questaltalena
in cui un giorno ridi e un giorno piangi,
ti sdrai, ti alzi in piedi, ti chiedi perché mangi...
...sì, le immagini nascevano improvvise, imprimevano le
emozioni nel cuore, vi rimanevano come semi e germogliavano in
silenzio, coltivati con cura e con amore dal Poeta solitario. I
fiori che nascevano erano quegli attimi che venivano fissati
eterni sul foglio bianco, che poi lui coglieva, e donava a
persone speciali.
Quella mattina continuava ad avanzare con in mano la foglia. Più
la toccava, più la stringeva, più la sentiva sua, più lei si
scioglieva, tornava ad essere una foglia come tutte le altre, una
comune foglia dalbero che linverno aveva
addormentato.
Il Poeta sospirò, e la lasciò scivolare tra le dita. Così non
era più una foglia speciale. Era una semplice foglia. Era
sparito lincanto della brina; laveva fatto sparire
lui, col calore delle sue mani.
La foglia cadde sul marciapiede. Il poeta la salutò, un po
deluso.
In quel momento un gatto attraversò la strada. Un gatto nero.
Fissò il Poeta, poi si voltò, quindi si inoltrò nella siepe.
Il Poeta sorrise, quasi distinto, ma subito
unimmagine gli balenò nella mente, e il sorriso,
intimorito, si spense, scappò dalle sue labbra.
...non ho guardato gli occhi di quel cane
morto sul ciglio della strada,
perché laria era troppo buia,
e la terra troppo fredda...
Cominciava ad albeggiare; il cielo si era tinto di rosso e
dun turchese intenso, in qualche modo spettrale. Il sole
era lontano. Lui non lo vedeva. Quei palazzi impedivano al suo
sguardo di volare oltre i confini del cielo e vedere sorgere la
fonte della vita.
Un passero spaurito saltellò ai suoi piedi. Si ricordò di
maggio, di quando gli uccellini imparano a volare, e i più
deboli muoiono. Muoiono imparando a volare. O imparano a volare
morendo.
Lui raccoglieva i loro corpi ancora senza piume e li sotterrava
nella terra del suo giardino, così che i gatti non ci giocassero
o i passanti non li osservassero con disgusto. Li seppelliva. Li
nascondeva nel profondo del Mondo, per conservarne il segreto,
per mantenere il mistero della loro tragica morte nel disperato
tentativo di levarsi in volo.
Ogni tanto capitava che qualcuno di loro entrasse dalle sue
finestre e non riuscisse più ad uscire. Il Poeta lo prendeva tra
le mani, lo sentiva tremante, delicato, poi lo appoggiava sul
davanzale e lo ammirava mentre si librava nel cielo...
...ho visto la paura negli occhi di un giovane passero che non riusciva ad alzarsi in volo, la paura di dover rimanere per sempre intrappolato e non poter più parlare con le nuvole...
Ma quella mattina non cera nulla di tutto ciò. Faceva
freddo. Faceva veramente freddo. La terra era ghiacciata. Il sole
era troppo debole e non ce la faceva a rompere i taglienti fili
dellaria. Se ne stava timido dietro quel palazzo ed
indugiava ad uscire.
Il Poeta si strinse nelle spalle. Erano ormai lontani quei giorni
festosi di maggio. Ora era solo. Camminava lungo quella strada
silenziosa e non riusciva a svuotare la mente.
Non ce la faceva.
Non avrebbe più scritto.
Cosa sarebbe cambiato? Pensò al Mondo, che è felice lo stesso,
lontano dalla poesia. Felice? Ma forse era lui ad essere troppo
triste, forse era il suo tentativo di ricerca a renderlo triste.
Tanto valeva allora lasciar perdere tutto. La vita sarebbe andata
avanti. Quella sera sarebbe tornato a casa, avrebbe ascoltato un
po di musica, poi sarebbe andato a letto. Niente più
poesie, niente più serate alla scrivania, niente più ore
buttate. Sospirò. Si guardò intorno con laria di chi
aveva preso con dolore una decisione tuttavia inevitabile.
Diede un calcio ad un sasso. Questi rotolò per un pezzo lungo la
strada, poi urtò qualcosa, e con un rimbalzo cadde in un
tombino.
Faceva freddo.
Finalmente un raggio di sole illuminò il volto del Poeta. Non
era caldo, ma a lui fece piacere lo stesso.
Aveva detto addio alla poesia. Laveva lasciata per sempre.
E adesso, per una di quelle strane controversie della mente e del
cuore, aveva in testa soltanto quelle parole di Poe...
...Accetta questo mio bacio sulla tua fronte.
Ed ora che sto per separarmi da te
lascia che ti dica: forse non hai torto
se pensi che tutti i miei giorni
non furono che un sogno in un sogno.
Che importa se la speranza è finita
in una notte o in un giorno,
in una visione o in nessuna?
Non per questo essa è meno finita.
Tutto ciò che vediamo o sembriamo
è solo un sogno in un sogno.
Ora sto fra il muggire delle onde
su una riva tormentata dalla risacca.
Nelle mani stringo i grani doro
della sabbia. Solo pochi! Ma come
sfuggono attraverso le mie dita
e cadono nel profondo. Ed io piango.
Io piango, Signore! Non mi è dunque permesso
di stringerli ancora più forte?
Signore, non mi è dunque concesso
di salvarne uno solo dallonda spietata?
Tutto ciò che vediamo o sembriamo
è solo un sogno in un sogno?...
Qualche tempo dopo il Poeta si ritrovò a percorrere la stessa
strada. Venne assalito da una sensazione indescrivibile,
indefinita, tra lo sgomento e lindifferenza, tra il gusto
amaro della malinconia ed il rimpianto.
Questa volta il sole tramontava. Tornava a casa. Anche lui:
Respirò laria fredda di quella sera dinizio gennaio.
Già da un po di tempo aveva smesso di scrivere, e al sua
vita continuava lo stesso.
Però sentiva come un vuoto, sentiva che gli mancava qualcosa, ma
cercava di ignorare questo nuovo sentimento, un sentimento che
non aveva mai provato prima, che si era impadronito di lui quella
mattina fredda in cui aveva deciso di mollare tutto. Tuttavia
preferiva ignorarlo. Era più comodo.
Le parole erano troppo dure, troppo crudeli. Le amava, ma loro
erano ingiuste con lui.
Il cielo si stava tingendo di blu, quel blu profondo e
accogliente duna notte serena. Nel buio erano apparse le
prime stelle, e brillavano timide, incerte.
Una goccia scese sulla guancia del Poeta. Una lacrima, una
lacrima di cristallo che si ruppe cadendo sulla strada
ghiacciata. Preferì non badarci.
Mise le mani in tasca, e continuò a camminare.
Gli mancava, la poesia. Gli mancava quella compagna di dolcezze e
di momenti magici, la sua amica fedele e sincera, che pure
lobbligava ad essere sincero.
Udì un cane abbaiare.
Triste.
Non poteva spiegare il perché fosse triste, lo sapeva e basta.
Lo sentiva.
Sentiva in quel latrato la voce che egli aveva abbandonato, che
ora era sola, e implorava il suo aiuto. Essa aveva bisogno di
lui, del Poeta che era in lui. Viveva soffusa per tutto il
firmamento, ma senza qualcuno che riuscisse a darle forma non era
nulla, non era che un sospiro nascosto sotto la coltre di freddo
che anche dopo linverno avrebbe coperto lanimo del
Poeta, e non gli avrebbe dato più pace.
Il latrato non smetteva. Non finiva. Non cessava di tormentarlo.
Straziato, il Poeta prese a correre. Voleva allontanarsi da quel
dannato e ingiusto richiamo. Corse via, disperato. Corse a lungo,
senza meta, senza direzione, per le strade vuote di una città
che gli pareva ostile.
Finalmente si fermò. Ansimava. Cercò di respirare
profondamente. Il cuore gli batteva forte.
Si guardò intorno. La via era deserta. Solo un lampione
solitario illuminava laria immobile e insensibile di quella
sera invernale. Oltre il confine di quella luce artificiale, il
Mondo sprofondava negli abissi delle tenebre, e anche il Poeta ci
sarebbe finito presto. Si sarebbe sentito avvolgere
dalloscurità come da un mantello opprimente da cui non
avrebbe più potuto liberarsi, che sarebbe stato costretto a
portare sempre con sé, pesante come il dolore che ora gli era
sceso sulle palpebre e gli impediva il respiro, che gli rompeva
la testa col suono delle sua risa agghiaccianti. Lentamente il
cuore smise di battere una marcia troppo insistente, e riprese il
solito ritmo pacato. Si estinse in un grido soffocato; un urlo
leggero, disperato.
Si appoggiò al muro e si lasciò scivolare per terra. Si
sedette, mettendo la testa sulle ginocchia. Rimase così,
immobile, qualche istante, poi alzò il viso e si sentì
accarezzare dal tagliente, eppure gentile, sospiro del vento.
Pianse.
Un cane randagio, uscito inaspettato dalloscurità, gli
annusò la mano, e si sedette accanto a lui, un po
scostato, guardingo, diffidente. I due rimasero un po ad
osservarsi lun laltro.
Il cane si accucciò sullasfalto, e con i suoi occhi tristi
fissò lUomo. Era strano, lUomo. Lui non riusciva a
capirlo. Il suo cervello di cane era forse troppo semplice. Non
capiva. questo qui addirittura gli aveva sorriso, asciugandosi le
lacrime. Non laveva cacciato via, come tutti gli altri.
Se ne stava zitto. Era in silenzio, e lo guardava. Non gli aveva
urlato contro. No, questo qui era simpatico.
Il Poeta si alzò. accarezzò il nuovo amico, donandogli ancora
un sorriso. Poi riprese la via di casa. Il cane, stupito rimase a
guardare lUomo allontanarsi, poi, rassegnato, se
nandò. Chi lo capiva lUomo! Strana creatura...
Al Poeta immediatamente balenò in testa un lampo di gioia.
Il porto sepolto!
La rivelazione improvvisa, lazzurro che si apre uno
spiraglio fra le nuvole!
Si diresse sui suoi passi. Era tardi.
Ormai la notte si era quasi del tutto impadronita della terra.
Del sole rimaneva soltanto un ultimo alone rossastro, laggiù in
fondo, dietro la cascina.
Il poeta era felice.
Non poteva fare a meno della poesia, del piccolo straordinario
che lo illuminava e lo apriva allinfinito...
Era felice. Sinoltrò nelle tenebre, non ebbe paura. La sua
anima era in festa.
E, come per incanto, si trovò seduto sulla scrivania. La stanza
era completamente buia. Preferì lasciar spenta la fredda e
artificiale luce della lampada. Accese una candela. La sua
candela, quella che, prima di partire, un amico speciale gli
aveva donato. Restò un po ad osservarla mentre si
consumava. Mentre moriva! Eppure luccicava. Gli offriva lo stesso
suo calore e la sua fiammella sorridente.
...Quali tre dee nel ciel parlano le stelle
allultimo spicchio di luna.
Le notti divine ritornano
nel punto in cui il Mondo si ferma,
e io posso, un istante, contemplare
laria, buia ma cosparsa dauree lacrime,
fissate a memoria nel tenero velo di notte
che già ricopre la terra.
E proprio in quel punto selvaggio ed oscuro,
dove la luce cè, lontana o vicina, ma artificiale,
se guardi un po meglio distingui fiammelle
di vivida fede e speranza, stelle polari
a indicarti al via verso il nord della vita,
dove tutto è più freddo, di certo, eppure più vero.
Fiammelle sospese a invisibili fili,
fissate per gioco (o amore) su uno sfondo impalpabile,
a riempire il vuoto di mille universi,
a donare luce a mille pianeti,
dove forse ora un poeta vede la luna e due stelle sorridere,
dove forse cè un principe, che aiuta una rosa,
che protegge con cura il suo grande tesoro.
Per questo le stelle sorridono,
ma noi da quaggiù cogliamo soltanto -soltanto?-
qualche fugace sguardo degli astri celesti;
chissà quel poeta, se anchegli li vede!
Il Poeta infilò il foglio di carta in uno dei suoi libri.
Ogni tanto riapriva i vecchi volumi, e gli piaceva scoprire tutte
le volte, con lo stesso stupore e la stessa sorpresa, i suoi
maldestri versi immortali.
Spense la candela, e si sdraiò sul letto.
Avvolto nella calda accogliente coperta della notte
saddormentò, pensando alla magica fiammella che brilla nel
cuore di ogni uomo. Mentre dormiva il suo volto era illuminato da
una luce serena.
Fuori, la stessa luna di quel mattino freddo splendeva,
sorridendo.
Vegliava su quel figlio che dormiva...