Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”


“MEMORY(A”
di Alessandro Farsi - 4a A


Scelse un particolare, ed il frammento di memoria sopravvenne chiaro nella sua mente.
Luminosi raggi solari filtravano tra i rami del bosco riscaldando l’oscurità e l’odore di muschio era forte ed umido. In mano stringeva una corda e guardava una bambina dai capelli rossi.
La riconobbe.
Identificò il ricordo.
Era successo parecchi anni prima, quando era piccolo. La bambina era sua coetanea. Erano andati fuori con relativi padri, a cercare funghi. Avevano provato a fare una piccola altalena con la corda, assieme ai genitori, ma non c’erano riusciti. Allora rideva ancora con Irene, sapeva che non si sarebbero mai persi di vista... ...la consapevolezza di aver riconosciuto il momento esatto soffiò via il dolce sapore dei tempi andati. Godette di un istante d’estasi.
La sua mente era nuovamente sgombra.
Altri frammenti sopravvennero. Immagini. Suoni. Sensazioni.
Scelse.
Si sentiva solo, depresso. Aveva una sensazione di freddo ai piedi. Non riusciva a comprendere perché fosse così diverso degli altri, ignorato, escluso. Una musica ossessivamente ritmata suonava lontana
Questo era successo...
...ad una festa, adesso ricordava, in un locale pseudo-americano. Fuori pioveva, e le sue scarpe erano ancora zuppe di pioggia. Un ragazzo parlava al barista, ordinava qualcosa. Lo conosceva, era suo compagno di classe, eppure non sentiva neppure la voglia di accostarsi per parlare. Due ragazzi limonavano infondo alla sala, mentre il resto della gente ballava.
Un lampo di dolore gli attraversò il cervello.
Aveva sbagliato ricordo.
Le tempie pulsarono.
Un’altra immagine sopravvenne. Sapeva che questa era quella corretta.
Camminava solo, lungo una spiaggia. I sassi erano duri e freddi sotto i piedi scalzi. Talvolta taglienti. Un gabbiano strillava mentre cercava di resistere al vento che lo trascinava via. Teneva le scarpe in mano e osservava il mare impetuoso. Non aveva voglia di stare in casa, quella sera. Voleva camminare, felice con il mondo; ma aveva scoperto di non poter spartire questo momento con nessuno. Lungo la spiaggia sorgevano piccoli capanni, serrati, con la vernice scolorita e scrostata. Camminava solo con i suoi pensieri. Davanti a lui, in lontananza, un enorme molo si estendeva sul mare, carico di luci e giostre. La musica veniva da un bar, l’unico aperto in quella serata d’estate.
Aveva sbagliato. Ancora. Nuovamente.
Ed ora doveva attendere.
Dentro di se piangeva. Il dolore era ormai passato, ma una tristezza indicibile lo avvinghiava: aveva dimenticato, aveva perso una parte della sua vita, tradito chi aveva conosciuto, infangato la propria memoria.
Dimenticare voleva dire aver vissuto inutilmente.
Dimenticare voleva dire non aver vissuto...
Il mosaico delle emozioni passate sopravvenne e soffocò ogni altro pensiero. Tempo di scegliere nuovamente.
Scelse.
Sentiva i capelli ancora umidi sulla testa. Il vestito fresco e pulito si gonfiava per la leggera brezza. Euforia ed attesa. Sotto i piedi, lastre di pietra all’ombra di un grande edificio.
Era la sua chiesa.
Si stava incontrando con i suoi amici dopo un’estate di vacanze solitarie. Intravedeva le facce di conoscenti e sconosciuti. Salutò col sorriso sulle labbra. Tra i volti noti però il suo sguardo si bloccò. Qualcosa successe. Rivide quel volto soave! Esperienza indimenticabile! Estasi suprema dell’amore. Quel volto quanti altri ricordi avrebbe scatenato, quali momenti di gioia spensierata e di tristezza...
Tuttavia, divagazioni non erano permesse.
Aveva riconosciuto il frammento, ed un’ondata d’intenso piacere trascinò via ogni pensiero superfluo.
Sopravvenne il mosaico.
Avrebbe voluto smettere, fermarsi, ma non poteva.
Un nuovo frammento.
Quasi manovrato da invisibili fili doveva proseguire.
Il frammento divenne immagine. La sua coscienza fu ridotta nuovamente all’impotenza. Esisteva solo il ricordo.
Una luce soffusa che entra da enormi finestre. Un’immensa sala vuota. Calore e brezza. Un solo amico vicino. Il gioco infantile della palla. Od un pupazzo.
Avrebbe voluto interrompere il flusso di ricordi. Arrivare alla fine.
Non voleva rivivere tutte le sue esperienze. Molto era stato dimenticato perché inutile, o soppresso, perché doloroso.
Ma era costretto a ricordare.
Era alla scuola materna, aspettava la madre con un altro bambino. Giocavano ad immaginare una famiglia con le bambole. Marito e moglie. Sposini. Le tende dell’atrio filtravano la luce, che formava chiazze luminose sul pavimento. Non poteva essere, non poteva ricordarsi quello. Un crocifisso pendeva appeso alla parete in fondo. Una suora chiacchierava nell’ingresso. Era impossibile..
Il suo cervello fu compresso da una scarica di dolore.
Aveva sbagliato.
Sopravvenne il ricordo originale.
Cercò di escluderlo. Rifiutarlo.
Chiuse la propria mente e tentò di mantenere viva la propria coscienza.
Sentiva il proprio essere sfaldarsi. Perdere consistenza.
Quando ricordava, non era se stesso, ma un altro col suo stesso corpo.
Sensazioni si infiltravano nella mente. Più s’addentravano, e più scardinavano la sua volontà.
Non voleva tornare indietro.
Era in una palestra Un campo da basket Di fianco a lui c’era Francesco. Ridevano e palleggiavano. La calura estiva non li infastidiva, erano in pantaloncini e maglietta...
Tutto si dissolse e tornò a pensare.
Aveva sbagliato e doveva attendere.
Era impossibile vincere.
Era impossibile scappare.
Era obbligato a rivivere momenti perduti. Frammenti della sua vita. O di un altro, per quel che poteva cambiare.
Chissà se avrebbe mai finito quel gioco di rimembranze. O avrebbe finito i ricordi?
Istante dopo istante riviveva la sua vita. Collegava un frammento all’altro, da un particolare risaliva al tutto.
Aveva trovato l’immortalità. Era diventato l’essere perfetto, un’entità assolutamente pura, incorruttibile all’esterno perché chiusa in se stessa, nella continua ricerca della perfezione.
Rivivere la vita mille volte e più, alla ricerca di un senso.
Forse infine avrebbe trovato la soluzione, e si sarebbe dischiuso nuovamente. Allora sarebbe stato più che perfetto, avrebbe raggiunto un nuovo livello di consapevolezza.
Trascendenza.
Ascesi.
Difficile da definirsi con parole umane.
Ma il destino forse non era quello, la ricerca doveva essere attuata in modo differente.
Quel sadico gioco avrebbe potuto anche non concludersi mai.
Perché l’errore poteva essere più grave di tutti gli sbagli che aveva fatto fino ad allora. Affidarsi al passato poteva avergli precluso il futuro. Continuando a compiere gli stessi errori non avrebbe mai potuto cambiare.
Era rimasto chiuso in un circolo vizioso...
Il mosaico sopravvenne nuovamente, e la coscienza, presa alla sprovvista, lottò per non perdere i propri pensieri. Si aggrappò all’ultima frase che gli si era formata in mente: "Io sono qui, io sono adesso! IO SONO QUI, IO SONO ADESSO...".
Si concentrò fino allo spasimo sulle poche parole che perdevano senso, sfuggivano dal significato e diventavano fonemi che infine sì dispersero.

Dovette soccombere.

Scelse un altro frammento.


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