Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”


“BUGIE”
Giulia Pegolotti - 4a C


Già mentre metti il libro di storia nello zaino sai che lì rimarrà fino al tuo ritorno a casa. Prima di uscire di casa il pomeriggio pensi immancabilmente di sfruttare la mezz’oretta di viaggio in autobus per studiare la lezione per il giorno dopo, ma il buon proposito di dedicarsi alla cultura rimane altrettanto immancabilmente tale.
All’inizio te ne stai seduta a osservare la strada fuori dal finestrino e poi, succede sempre, rivolgi l’attenzione verso la gente che viaggia con te: scruti gli altri, ascolti le loro conversazioni, senza volerlo, senza cattiveria, sarà voyeurismo come quello degli spettatori del Grande Fratello, sarà noia, ma finisci sempre per farlo. A volte la cosa ti fa diventare davvero triste.
Beh, non sempre, dipende dal tuo umore.
Quando sei già un po’ giù di tuo vedi le cose in maniera diversa, e ti sembra ovvio che lo strato di trucco di quella ragazza seduta sul sedile dietro non è quello che lei è, è quello che lei vuole sembrare davanti ai suoi amici alle persone che incontra per strada ai ragazzi che incrocia nei corridoi della scuola ai suoi genitori che magari una volta per tutte vedono che lei è diventata grande. Probabilmente lei si piace pure ma secondo te in fondo non è vero affatto.
Consideri che ai due ragazzini che stanno discutendo a proposito dell’interrogazione di scienze dei giorno dopo non importa proprio niente della doppia elica, ma domani in classe ne parleranno con passione al professore, prenderanno otto più e tra una settimana non si ricorderanno neppure se era la citosina quella che stava con la guanina (o era l’adenina?).
Sorridi osservando la ragazza che sta descrivendo all’amica che le siede di fianco tutte le dinamiche psicologiche del processo che ha portato il suo ex ad abbandonarla ottusamente per un’altra (gli uomini non capiscono mai niente ma tornerà lo so ed io gliela farò vedere stanne sicura però nel frattempo ci sto troppo male aiuto), interlocutrice annuisce comprensiva, è voltata di spalle ma se potessi sai che le leggeresti negli occhi solo l’attesa un po’ risentita di poter esporre anche i suoi di problemi esistenziali, di sicuro più gravi di quelli di questa lagna che non capisce niente della vita (sono d’accordo con te, guarda che uno come quello meglio perderlo che trovarlo).
Avverti provenire da dietro di te un tipico ticchettio di cellulare, ti immagini il sorrisino stampato in faccia alla ragazzina intenta a rispondere ai messaggi sdolcinati di un qualcuno a causa di cui si ritroverà sdraiata sul letto a piangere entro un paio di settimane...

... ti senti un po’ cinica oggi, eh?

Lo sguardo cade sul pezzo di stoffa bianco attaccato allo zaino, e neanche tu ti senti poi cosi genuina... hai manifestato per la pace, hai una bandiera arcobaleno appesa fuori dal balcone di casa, ti infervori sporadicamente discutendo della guerra e di questioni più grosse di te, ed in fondo continui a percepire i tuoi piccoli problemi, le tue interrogazioni, i tuoi litigi con i genitori ed i tuoi telefoni che non squillano come faccende più gravi dell’enormità che intanto succede.
E anche tu ti trucchi, anche tu studi e ripeti cose di cui non ti importa proprio nulla, anche tu hai manie di protagonismo e anche tu mandi messaggi sdolcinati, nel disperato tentativo di comunicare... e mentre sei lì, seduta sul tuo sedile, su un autobus di linea qualsiasi, ti sembra di cogliere l’essenza di un non sai che di universale. Noi non possiamo comunicare, non ne siamo capaci, le bugie devono esistere per forza, non tanto le bugie che si raccontano, quanto tutte quelle che mettiamo nel modo di vestire, nel modo di parlare, nel nostro apparire... Siamo costretti a tante piccole bugie perché è il modo più semplice che troviamo per lanciare i nostri pensieri e toccare quelli degli altri... siamo isole collegate da ponti barcollanti di parole e sguardi...

Basta poco per spezzare il filo di certe riflessioni, ad esempio il bip-bip dei cellulare, è arrivato un messaggio. Per di più l’autobus è quasi alla tua fermata, ti alzi e ti accorgi che devi muoverti a tornare a casa, hai detto a tua madre che saresti stata indietro per le sei, stavolta ti uccide davvero.
E poi devi studiare storia.


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