Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”


“VERITA’ E BUGIE SONO ENTRAMBE MALATTIE”
Paola Stucchi - 2a I


Era una sera d’inverno molto fredda e Mario se ne stava seduto alla finestra a guardare la neve che cadeva fitta fitta dal cielo scuro del crepuscolo. Stava aspettando che Andrea, il fratello maggiore, tornasse a casa e continuava a guardare il sentiero che portava al villaggio vicino per vedere se arrivasse. Il vorticare dei fiocchi di neve gli giocava brutti scherzi e spesso gli sembrava di vedere dei piccoli esserini che si sarebbero potuti dire o gnomi o folletti. Ogni volta che cercava di osservare quelle cosine, beh, quelle sparivano e rimanevano solo i fiocchi bianchi che danzavano. Era seduto nel vano della finestra e, vicino, c’era un mobiletto con sopra il vaso dei fiori preferito da sua mamma, pieno ora di margherite finte per via della stagione; per terra il fratellino Daniele stava vivacemente giocando col gatto e con le sue costruzioni.
Mario si era stufato di stare ad aspettare e quegli esserini che pensava frutto del continuo vorticare della neve iniziavano a dargli sui nervi, così aveva cominciato a guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa da fare o almeno di qualcosa con cui giocherellare un po’. In giro non c’era niente da poter usare, tutto era in ordine perfetto e sua madre si sarebbe subito accorta del minimo cambiamento. Uffa! Non c’era mai niente di divertente da fare in casa! Il fratellino, stanco delle costruzioni, iniziò a inseguire il gatto per tutta la camera: intorno al divano, sotto il tavolo, dietro le tende... Mario riprese a guardare fuori dalla finestra e iniziò a tirare dei calcetti al mobiletto vicino a lui che cominciò a traballare. Daniele stava correndo verso la parte opposta della camera e urlava sempre più per l’eccitazione dell’inseguimento. Il fratello era al limite della sopportazione e, irritato sia per il chiasso sia perché non trovava niente da fare, iniziò a tirare calci sempre più frequenti e più intensi al mobiletto fino a che il vaso, dopo aver paurosamente oscillato cadde a terra assieme al mobile e il povero Daniele non finì in mezzo a tutto quel disastro per pura fortuna, perché si trattenne al pelo. Mario era sicuro: qualcosa di nero era passato tra il fratellino e il vaso, perché il vaso cadde a terra senza rompersi e Daniele riuscì a non finire sotto al mobile. Il piccolo, spaventato, si mise a piangere credendo di averlo fatto cadere lui. La madre accorse, ma Mario riuscì a rimettere a posto il vaso prima che lei lo vedesse. Il fratellino era tutto rosso e piangeva tanto che per poco non gli vennero le convulsioni.
- Dovevi tenerlo d’occhio! Sai bene che con la sua asma non deve agitarsi così.
Possibile che non ci si possa mai fidare di te?! -
- Non me l’avevi detto di impedirgli di giocare col gatto. -
La madre si infuriò.
- Di giocare col gatto no, ma di impedirgli di correre sì!
- Me ne sono dimenticato.- e con un’alzata di spalle uscì dalla stanza andando in camera sua.
Nel frattempo era rientrato il fratello maggiore.
- Sono tornato!-
- Preso tutto?-
- Sì - e andò in cucina a mettere in ordine le cose comperate.
Intanto il padre scese dal piano di sopra mentre la madre saliva col piccolo in braccio per andare a prendere le medicine da dare al piccolo contro l’attacco di asma che gli stava venendo.
- Cara, hai per caso aperto tu la finestra in camera di Andrea?-
- No. E poi con questo tempo? Vedrai che l’avrà aperta Mario per fargli dispetto.-
- Beh, lui ha negato, ma cosa ha fatto Daniele?-
- Si è agitato correndo dietro al gatto e gli è venuto un attacco d’asma.- intanto era
arrivata in cima alla scala e si era subito diretta in camera a prendere le medicine.
Il padre borbottando tra sé andò in cucina.
- Non hai chiuso la finestra.-
- Cosa?-
- Non hai chiuso la finestra della camera prima di uscire. Ora la camera sembra la tana di un orso polare. -
- Ma io l’avevo chiusa! -
La madre intanto dal piano di sopra;
- Andrea, mi sembrava di averti detto qualcosa prima di uscire.-
- La finestra l’ho chiusa!-
- Veramente?! L’hai chiusa, però adesso c’è un bel po’ di neve sul tuo letto, per terra e ci si congela al solo affacciarsi sulla porta - Ma... -
- Dormirai in camera con i tuoi fratelli, non posso mettere disordine in sala o domani sentirai la paternale di tua nonna.-
- Perché non provi a chiedere a Mario? Non mi sembra che sia nuovo a queste cose. E poi non era sceso con noi ma era rimasto su un po’. E’ sceso quando sono uscito!
- Ne sei sicuro?-
- Sì, sul davanzale c’era il guanto che aveva in mano prima di scendere.- disse la madre entrando.
- E’ inutile, ormai non ci sono più speranze. Va beh ci dovremo rassegnare! Ma cara, come sta Daniele?-
- Si è ripreso, si è appena addormentato. La crisi non era niente di grave.-
- Per fortuna non ha avuto niente di serio. Ma non lo controllava nessuno?-
- Qualcuno sì ma... -
Nel paese di Busìverì, quello di Mario, i bambini si potevano classificare in due categorie: la prima era quella dei bambini che volenti o nolenti non riuscivano mai a dire una bugia, nemmeno la più piccola e semplice del "non sono stato io", erano insomma dei santini; l’altro gruppo, al quale apparteneva Mario, era quello dei bambini che non riuscivano mai a dire la verità e nemmeno a fare quello che si chiedeva loro. I genitori di questi ultimi erano alquanto disperati anche perché, qualunque risoluzione prendessero, era molto raro che i figli riuscissero a smettere di fare i totali bugiardi e a iniziare a dire la verità. A questo punto nasceva un serio problema: infatti solo una ristrettissima minoranza dei pochi bambini che smetteva di dire sempre bugie riusciva a passare interamente alla verità, mentre l’altra rimaneva tra verità e falsità, e comunque questo cambiamento di comportamento avveniva solo prima dei dieci anni e poi si rimaneva definitivamente ciò che si era.
Mario era appunto uno dei bugiardi e pigri e la famiglia e gli amici e i professori erano esasperati, ma il suo era, come si suole dire, un caso perso; cocciuto, testardo e ribelle, non c’era verso di fargli entrare in testa qualcosa che lui non volesse, come appunto la verità e l’obbedienza. Nonostante tutto ciò che si era tentato non era mai cambiato di una virgola e ormai aveva undici anni: non c’era più speranza. I suoi genitori, tuttavia, non disperavano di fargli entrare in testa un po’ di obbedienza e continuavano a punirlo, non troppo severamente, per cercare di fargli capire qualcosa.
Ancora una volta Mario fu messo in punizione ma niente cambiò il suo modo di comportarsi e i suoi cominciarono a disperare che divenisse almeno un po’ sensato.
E quella sera fu messo nella camera del fratello, fredda, ma era la punizione. "Insomma, è ora che tu capisca le conseguenze delle tue azioni!" aveva detto sua mamma. Si era rintanato nell’angolo più caldo della stanza e cioè dalla parte dove nella sua camera, che era attigua, c’era la stufa. Si stava quasi per addormentare quando qualcosa luccicò nel buio. Aprì gli occhi. Non c’era niente. Tornò a cercare di appisolarsi, ma qualcosa nella penombra si mosse e attirò la sua attenzione. Gli si stava avvicinando, ma la cosa, o meglio i tre esserini gli si affollarono davanti.
- Verum, allora?! -
- Sì, è lui, è uno dei casi più critici. -
I tre esserini guardarono Mario che li osservava scettico e stupito al contempo.
- Se permettete lo interrogo io.- e si fece avanti quello più basso.
Aveva baffi bianchi e portava un completo verde da boscaiolo.
- Come ti chiami, ragazzo?-
"Devo sognare. Sembrano i tre elfi di Claudio."- Claudio - rispose
- Esattamente come l’altro.- bofonchiò quello rosso sulla destra e si fece avanti.
- Bene Mario, Claudio è tuo amico. Come è caduto il vaso
- L’ha preso dentro mio fratello - "Ma come fa a sapere che mi chiamo Mario?"
Fu la volta dell’elfo di centro, quello vestito di blu.
- Va bene Mario, dopo aver tirato quel calcio mi hai quasi steso sotto il mobile. (Mario rimane allibito) Comunque, so che avete fatto un po’ di Parmenide nel laboratorio di filosofia a scuola. Bene, mi sai dire qual è la sua vera verità?
- La vvve, la vve... -
I tre elfi si guardarono e si fecero un cenno d’intesa.
- Il tuo è proprio un caso critico, non riesci nemmeno a dire una filosofia così semplice. Comunque ti diamo una possibilità. Se non la passi, non sarai in grado di tornare indietro in questo mondo, mentre se la passi ... vedrai.-
Si tolsero i cappelli facendo spuntare le orecchie a punta e agitate queste si ritrovarono tutti e quattro in un giardino pieno di fiori, tutti soffocati da cespugli di rovi dalle spine grosse, intrecciati tra loro in modo talmente fitto da lasciare appena intravedere ciò che ricoprivano. Mario non poteva crederci. Stava indubbiamente sognando. Si tirò un pizzicotto facendosi male. No, non stava sognando. Che Claudio dicesse il vero?
Claudio era stato un bambino proprio come lui, incapace di dire la verità, però poco prima di compiere gli undici anni era improvvisamente cambiato e aveva iniziato a smettere di dire le bugie, ammetteva ogni cosa che faceva e non era più nemmeno in grado di dire la più semplice delle bugie. Quando gli avevano chiesto cosa gli fosse successo aveva risposto che tre elfi gli erano comparsi davanti, gli avevano fatto cose strane e lui non riusciva più a dire bugie e addirittura non riusciva neanche a pronunciare tale parola.
"Ma che Claudio avesse veramente ragione?" No! Era inammissibile una cosa del genere. Non poteva essere vero! Non doveva essere vero! E poi era contro ogni logica, insomma a undici anni o dicevi la verità o dicevi le bugie. E poi Claudio era stato ricoverato...
No, non era vero, però non stava neanche sognando!
- Allora, stava dicendo l’elfo rosso, vedi bene che questo giardino è un po’ trascurato. Devi rimetterlo a posto! -
- Cosa?-
- Devi trovare tre porte che si aprono solo con i nostri tre nomi.- disse quello blu
- I nostri nomi li sai già, solo che non li rammenti, questo ti servirà a trovarli.- e l’elfo verde gli consegnò una specie di piccola ampolla contenente del liquido simile all’acqua.
- Bene, se versi l’acqua per terra troverai la strada.
- Devi seguire un preciso percorso.-
- Se infrangerai il percorso ti perderai.-
Detto questo i tre elfi sparirono. Mario era rimasto lì esterrefatto con la piccola ampolla in mano e non sapeva cosa fare. Non era possibile. Provò a tirarsi degli schiaffi, ma niente, non riusciva a svegliarsi. Non riusciva a vedere una via d’uscita e così si risolvette a seguire il consiglio degli elfi. Versò un po’ d’acqua per terra e comparve una "C", vi andò sopra e comparve davanti una "O" e così via fino ad arrivare a leggere la frase "COSA VUOI DIRE?" Quando arrivò al punto di domanda si ritrovò davanti a due porte. La prima era rossa con in mezzo tre strisce verticali che da sinistra a destra erano blu, bianca e rossa, tutte contornate di nero e con sopra una "F". "Sembra quasi la bandiera francese" pensò subito Mario. L’altra era uguale se non che invece che rossa era tinta di bordò. Stava osservando le porte quando gli comparve dinanzi un serpente.
- Ssssalve. Tu devi essere il ragazzzzino. Bene, sssseguimi.-
E attaccatosi con la coda alla sua gamba lo tirò verso la siepe che si aprì e lasciò vedere una superficie nera. Il serpente sibilò. Sulla superficie nera si vide un bambino piccolo di circa cinque anni, aveva preso un piccolo calamaio e ne stava versando l’inchiostro su una pagina di qualche cosa, sentendo arrivare qualcuno aveva lasciato cadere il calamaio ed era scappato fuori dalla stanza. Mario si sentì come se qualcuno gli stesse scavando nella memoria. Poi la scena disparve e si vide una famiglia seduta a tavola e il padre che urlava contro quello che sembrava essere il figlio maggiore.
- Insomma te l’avrò ripetuto cento volte: era un documento importantissimo! Basta, questa sera non esci e non uscirai neanche per quei dannatissimi allenamenti!- e tirò un ceffone al figlio. La scena disparve. Il serpente fissò il ragazzo negli occhi, lo scrutò a fondo. Gli girò intorno, lo analizzò; poi, ergendosi al livello della sua faccia:
- Che bella ssscenetta commovente, non trovi? Un vero esempio di limpida verità lampante, non è cosssssì?-
Gli occhi del serpente brillarono di malvagità. Mario si era quasi dimenticato di quella storia.
- Quella è stata la prima volta che ho mentito. Mio padre mi aveva chiesto se ero stato io, ma io avevo negato subito e poi mia madre aveva visto mio fratello col calamaio in mano.-
Il serpente si ritrasse disgustato, i cespugli di spine si alleggerirono e si diradarono notevolmente e il ragazzo, sentendosi in un certo senso più leggero, ritrovò il resto del ricordo...
- Sono stato io ad accusare mio fratello di fronte a mio padre perché non volevo essere punito e poi avevano litigato, così ne approfittai. Però ero stato io. Adesso mi dà fastidio un po’ quello che ho fatto.-
Non aveva mai ammesso di aver detto una bugia. Era la prima volta. Le spine scomparvero totalmente, Mario si sentì molto più leggero e i fiori presero un debole colore poco smorto ma non allegretto. Il serpente, inorridito, era scappato a testa bassa alla porta e quando il ragazzo lo raggiunse si issò sulla porta rossa e si andò a incastrare nel contorno nero intorno alla bandiera francese. Il ragazzo rimase notevolmente interdetto di fronte allo strano comportamento dell’animale e non sapeva cosa fare o semplicemente cosa pensare. Il serpente lo guardò.
- Pressssta bene attenzzzione: Vérité!-
Il serpente si fece di un rosso vivo fiammeggiante come un fuoco e si integrò nella porta che era diventata del medesimo colore e che si aprì, un po’ cigolando, sulla seconda parte del giardino da salvare.
- I miei complimenti, sei riuscito ad ammettere il tuo primo sbaglio, non sei poi così irrecuperabile. Bene ricordati tutto ciò che hai visto e sentito-
Erano i tre elfi che avevano parlato, ne era sicuro, però non sapeva dove.
- Tranquillo, non ti preoccupare, tu non ci puoi vedere ma noi ti seguiamo. Ricordati bene: Vérité!-
"Vérité, ma che diavolo vorrà dire?" e data una scrollata di spalle attraversò la porta. Entrato nella seconda area del giardino si guardò intorno per decidere il da farsi. Le spine, poté notare, erano un poco più fitte rispetto alla prima parte del giardino e i fiori più spenti rispetto agli altri già visti. Non sapeva cosa fare e si guardava intorno come un bambino sperduto alla ricerca di aiuto e consiglio, quando sentì una leggera frescura sulla mano sinistra. Si ricordò così, vedendola, dell’ampolla datagli dai tre elfi e del suo funzionamento. Tolse il tappo e versò un po’ di quell’acqua per terra; come prima comparì una lettera, questa volta la "D", e come prima dovette camminare sulla frase che pian piano usciva. In cammino fu più lungo e Mario ne approfittò per controllare lo stato dei fiori: erano coperti dalle spine, però come se fossero cresciuti insieme a quelle; altra cosa che gli balzò all’occhio, come si suole dire, fu l’arsura che li aveva colpiti. Intanto era arrivato alla fine della frase che aveva segnato il suo percorso.
"DEVI DISTINGUERE E CAPIRE QUAL E’ LA BUGIA, SE HAI GIA’ AMMESSO LO SBAGLIO SARA’ PIU’ FACILE" Arrivò davanti a due alte porte più massicce delle prime due. Queste erano verdi e lungo ì cardini scorreva un lungo serpente rosso vivo; al centro delle due porte c’era un’aquila solo che quella di destra era ad ali spiegate, mentre quella di sinistra era rintanata e lo guardava torva e minacciosa. Stava studiando le due porte quando sentì arrivare due uomini che discutevano. Si voltò e rimase a guardare e ad ascoltare.
- Sei un bugiardo bell’e buono.- stava dicendo il primo, un evidente dottore un po’ spigliato e trasandato, ma con uno sguardo franco e sincero.
- Ma, mi consenta di contraddirla mio caro dottore, a mio parere è proprio lei il bugiardo.- aveva invece ribattuto il secondo dallo sguardo un po’ freddo e indifferente, ma dal comportamento impeccabile e aristocratico. I due si fermarono davanti a Mario che li guardava come per dire: e voi cosa ci fate qua? Non centrate niente con me. Fu il dottore spigliato a parlare.
- Benvenuto, tu sei qui per giudicarci e per scegliere chi preferisci seguire. Dal canto mio ti consiglio di non dare ascolto a questo Pinocchio. Se segui me arriverai, con un po’ di fatica, lo ammetto, alla terza porta. Se segui lui, non so che fine farai.
- La prego di non dare ascolto a quest’uomo che non fa altro che parlare a caso, replicò il dottore aristocratico. - A sentirlo sembrerebbe quasi che ci trovassimo nella foresta della Bella Addormentata. Comunque sia io le posso mostrare la via più veloce. Sono certo che ne terrà conto e poi potremo iniziare un interessante discorso su certe bevande e potrei fargliene assaggiare una.-
Nei suoi occhi brillò per un secondo un po’ di malvagità. Mario ebbe paura, riflettè un secondo e poi arrivò alla sua decisione.
- Seguirò il dottore spigliato. Voi usate le lusinghe come ho provato a fare io per ingannare alcuni miei amici e quindi mi sapete più di bugia, siete facile e comodo, ma pericoloso. La verità è franca e sincera anche se non è sempre il massimo della vita.
- Come hai osato!!- il dottore aristocratico si infuriò e sì trasformò in una specie di mostro orripilante e si stava per lanciare sul ragazzo quando l’aquila della porta sinistra gli volò addosso e se lo mangiò in un boccone.
- Mi dispiace per l’orrendo spettacolo, ma adesso ti lascio andare, io devo tornare al mio laboratorio. -
Così detto il dottore mise una mano sull’aquila della porta di destra che divenne come un unico prato verde. Nel frattempo le spine sì erano dissolte e il giardino era ritornato a fiorire. La porta si aprì dopo che il dottore ebbe detto "Verum".
- Ricordati: il rosso è Vérité e il verde Verum. Ciao. - e il medico se ne andò.
Oltrepassata la porta Mario si trovò davanti a una via sempre più stretta, le spine si erano allargate a macchia d’olio e prendevano parte della strada. La condizione dei fiori era notevolmente peggiorata e lui si sentiva quasi in colpa per quella situazione. Versò ancora un po’ d’acqua e comparve di nuovo, camminandoci sopra, la frase. La situazione era notevolmente peggiorata e i fiori stavano visibilmente morendo. Giunto alla fine del percorso si trovò di fronte ad una porta blu, immensa costituita da due battenti; su entrambi c’erano un serpente infuocato lungo i cardini ed un’aquila verde come un prato, poi a destra, nel centro, c’era, conficcata, un’ampolla uguale alla sua con l’imboccatura verso l’alto e nel centro a sinistra il posto per un’altra ampolla come la sua con l’imboccatura verso il basso. Non sapeva cosa fare. "DEVI SCEGLIERE: O LA VERITA’ E LA VITA, O LA BUGIA E LA MORTE DEL TUO IO" La bugia e la morte del proprio io. Mario continuava a chiedersi cosa volesse dire. Osservava le siepi e gli sembrava che disegnassero la scritta "BUGIE". Sì era proprio così, più guardava e più vedeva in quel groviglio di spine la parola "BUGIE". Ma come scegliere la vita? Ormai non pensava più alle bugie, il solo pensiero lo faceva rabbrividire perché a quella parola ormai associava il dottore aristocratico trasformatosi in mostro. Un brivido d’orrore lo scosse tutto al solo ricordo! Si rammentò dell’ampolla e dell’ultima lezione di scienze: l’acqua è alla base della vita! Ma come poteva darla a quelle piante morenti? Ci doveva essere un modo! Si mise ad osservare la porta e si convinse che l’unico modo sarebbe stato quello di porla a testa in giù, nella speranza che l’acqua non uscisse tutta prima. Mario capovolse deciso l’ampolla e con suo grande stupore l’acqua non cadde, ma rimase con quella membrana che si forma quando si riempie il bicchiere d’acqua fino all’orlo. Superata la sorpresa si impegnò a sistemare l’ampolla nella porta incastrandola perfettamente al suo posto. I serpenti infuocati guizzarono fuori dalla porta e bruciarono le spine che avvolgevano i fiori, poi da tutto il giardino zampillarono fontane che dissetarono e rinvigorirono le varie piante e infine le aquile si alzarono in volo, dissiparono le nuvole e il sole accarezzò e salutò il giardino finalmente tornato alla vita. Mario si sentiva decisamente meglio, più leggero e con la soddisfazione di aver fatto finalmente qualche cosa di buono, ma anche con un po’ di rimorso per le bugie dette, per i suoi inganni e le sue falsità e si ripromise di mettere a posto tutto ciò che poteva. Le due aquile vagando per il cielo e scorrazzando tra le nuvole avevano plasmato queste ultime che ora gli dicevano:
- Verità!-
Non appena Mario ebbe pronunciato tale parola la porta alle sue spalle si spalancò e lui vide il suo giardino fiorito all’inizio del suo percorso, il punto da cui era partito e ad attenderlo c’erano i tre elfi di prima.
- Benvenuto- disse il rosso - Sei finalmente giunto. -
- Complimenti, sei stato veramente in gamba- commentò il blu
Il verde gli fece un profondo inchino di complimento.
- Ora puoi darci i nomi, inizia da me.-
Mario rimase un attimo a pensare.
- Allora, tu devi essere Verum perché sei verde come la porta. Il tuo nome mi sembra latino e sono sicuro che l’aquila ad ali spiegate era il simbolo romano.
- Esatto. Sono il più vecchio di noi tre. Posso vantare di aver conosciuto personalmente Cassandra e ho anche cercato di aiutarla, ma quei Troiani non volevano saperne di verità. Ah quei disgraziati!-
- Avanti calmati fratellone, io vorrei sapere il mio nome.
- Tu sei Vérité. Rosso come la porta.
- Infatti, sono francese e come il mio fratellone se mi traduci mi chiamo Verità. Sono nato in Francia. Però non ho sinceramente mai capito perché mi abbiano dato il serpente.-
- Io alla fine, lo dico da me, sono Verità. Blu perché per disegnare l’acqua in genere si usa il blu e l’azzurro e poi la verità è limpida e cristallina come l’acqua. Bene, ora vuoi dirci la vera verità di Parmenide?-
- Beh... Dovrebbe... la vera verità di Parmenide è: l’essere è e il non essere non è. -
- Io direi promosso a pieni voti. Tu cosa ne dici, Verum? -
- Beh, ha salvato il suo giardino interiore che rischiava di soffocare per le bugie e poi riesce a dire la verità quindi... Non ho obiezioni. -
- Allora miei cari fratelloni lo riporto a casa.-
E senza dare il tempo a Mario di dire niente lo prese per una manica del maglione, agitò le orecchie e, in men che non si dica, furono nella camera di Andrea.
- Bene, allora ciao e non dimenticarti di noi e della verità! - e Verità sparì.
In quel momento entrò il padre.
- Tutto bene? -
Mario lo guardò con una faccia trasognata.
- Avanti vai in camera tua. - e lo accompagnò a letto.
Quando si fu cambiato e messo sotto le coperte disse al padre che stava uscendo dalla stanza:
- Sai pa, oggi l’ho aperta veramente io la finestra. -
Al padre venne un colpo. Mario che ammetteva di aver sbagliato e che smentiva una sua bugia?! Ma quando mai si era vista o udita una cosa del genere? Rimase a guardarlo stralunato finché non lo chiamò la moglie. Quando le riferì l’accaduto, anche a lei venne un colpo.
- Sarà stato il freddo della stanza a fargli prendere un colpo.- questo fu il commento all’accaduto.
Ma sebbene tutti pensassero che questo fosse solo una di quelle cose che capitano una sola volta nella vita, in realtà non lo fu e bisogna immaginarsi lo sconvolgimento che tutti ebbero nel vedere la nuova e impeccabile condotta di Mario. Era divenuto un bravo ragazzo diligente e diceva sempre la verità, alla prima insufficienza che portò a casa ammise di non aver studiato e ammise anche che era stato lui a far cadere il calamaio a cinque anni, quella famosa volta. Inoltre una volta venne alle mani con un suo compagno di classe e, cosa inaudita, ammise addirittura di averlo provocato lui! I genitori e tutti quelli che lo conoscevano iniziarono a preoccuparsi e cominciarono a consultare medici, psichiatri e psicologi. Mario capiva il perché di tante visite, ma sapeva che se avesse raccontato dei tre elfi l’avrebbero preso veramente per matto e l’avrebbero ricoverato, però c’era sempre l’ampolla vuota che aveva trovato accanto al suo letto la mattina dopo quella strana impresa. "Pazienza, continuava a ripetersi, prima o poi smetteranno".
Erano ormai passati un paio d’anni da quell’episodio e ormai tutti si stavano abituando al suo nuovo comportamento, quando Mario a scuola sentì parlare di un ragazzo che aveva visto tre elfi che volevano convincerlo a dire la verità e di essere poi finito nelle grinfie di un mostro spaventoso. "Poverino, mi dispiace per lui, però mi piacerebbe rivedere quei tre!" E continuò per il corridoio. Quel tale fu ricoverato in clinica un paio di giorni dopo.
A tre anni esatti dall’incontro con gli elfi a cena, il suo fratellino usci con una frase di Rodari: "Nel paese della bugia la verità è una malattia". Mario ripensò al suo caso e al ragazzo che aveva incontrato Verum, Vérité e Verità e iniziò a ridere a più non posso, tanto che cadde persino dalla sedia. Tutti lo guardarono senza capirlo e più lo guardavano stupiti e più lui rideva. Quella frase di Rodari era proprio adatta a Busìverì, peccato che non ne esisteva una con la verità per paese e la bugia come malattia. Chissà, magari esisteva, ma quella non faceva al caso suo, né a Busìverì né al nostro Mario.


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