Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza
Il signor Federico Romani aveva sempre amato moltissimo viaggiare: da giovane
aveva girato il mondo in lungo e in largo.
Ma da alcuni anni, un male incurabile lo aveva costretto sulla sedia a rotelle.
La sua più grande passione impeditagli per sempre.
Così iniziò ad evitare la vita esterna, rimanendo più tempo possibile a casa
e uscendo solo per rifornirsi di viveri. E poiché non aveva parenti né amici
stretti che lo andassero a trovare, passò questi ultimi mesi in solitudine.
Un giorno però, girando per casa, trovò in uno scatolone un vecchio libro, che
gli aveva regalato un suo zio per il suo undicesimo compleanno, e incuriosito
cominciò a leggerlo. Era “Ventimila leghe sotto i mari” di Jules Verne: con
questo il signor Romani imparò a viaggiare di nuovo. Ma la sua malattia non gli
lasciava scampo e in breve tempo fu obbligato a vendere la casa per andare a
vivere in una clinica privata.
Questo fu forse il periodo peggiore della sua vita: allontanato dai suoi
effetti, dai suoi libri, divenne ancora più schivo e tetro, passando le
giornate a letto chiuso nella sua stanza. Fino a quando un giorno
un’infermiera bussò alla sua porta: “Signor Romani è permesso?”; e
questi con voce flebile: “Avanti...”
”volevo presentarle il signor Tommaso Grossi: se lei acconsente diventerà il
suo coinquilino”; il signor Romani rimase un attimo attonito, perplesso dalla
proposta, “Forse che non ci siano più camere libere in tutta la clinica?”,
ma dopo una breve riflessione accettò: “Va bene, mi farebbe molto piacere”;
“Vedrà che un po’ di compagnia le farà bene!”, disse l’infermiera con
fare allegro;
“Ha proprio ragione... non so come ho fatto a lasciarmi andare in questo
modo”.
L’arrivo di Tommaso Grossi donò a Romani uno sprazzo di vitalità, che da
tanto tempo ormai non provava più.
Nel tardo pomeriggio del giorno successivo, dopo una lunga chiacchierata, Romani
gli chiese di aprire le tende della finestra: “Tommaso, mi faresti un
piacere?”;
“Certo, chiedi pure”;
“Io non posso alzarmi dal letto: mi descriveresti quello che vedi?”; “Va
bene!”, e accostandosi a quella,:
“Ohh... è una bellissima giornata di primavera... nonostante l’ora i raggi
caldi del sole illuminano ancora bene e una brezza soffia dolcemente tra le
piante verdi... c’è un parco-giochi e i bambini fanno gli ultimi giri sulle
altalene... una bimba con dei capelli d’oro e due occhioni azzurri sta
giocando con la sua mamma... nel cielo, a tratti rosato, galleggiano candide
nuvole...” Quella notte, ripensando a quanto gli aveva raccontato Tommaso,
sgorgò una lacrima dagli occhi di Federico. Tommaso gli aveva ridato la voglia
di vivere e la felicità necessaria per intraprendere il suo ultimo grande
viaggio.
Qualche mattino dopo Romani venne svegliato da un insolito trambusto: nella sua
stanza c’erano diverse infermiere che si muovevano attorno al letto di Tommaso
Grossi. Capì subito: era morto. Quel pomeriggio chiese ad una infermiera di
spostargli il letto accanto alla finestra: subito si affacciò, ma non vide
altro che un parcheggio per automobili.
“Come?... Tommaso mi aveva detto che c’era un parco per bambini, con alberi
verdi...”, e gli rispose l’infermiera: “... Tommaso Grossi era cieco”.
Federico Romani capì che non era necessario possedere l’uso delle gambe o
quello della vista per intraprendere un viaggio, ma che è lo spirito a compiere
quello più grande.