Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
Secondo Classificato sez. prosa


“7 MARZO”
di Veronica Merlo - 3a G



La musica riempiva la stanza e la mia testa, quando la porta si è aperta. Le note avevano coperto il famigliare rumore delle chiavi che giravano nella toppa e l’ingresso di mia madre, che ora stava sulla porta a fissarmi. Forse perché stavo ballando. Teneva tra le mani una piantina i petali di un colore sgargiante. Non so come ma la visione di quel vasetto mi dava la netta sensazione che avrei dovuto ricordare qualcosa. “Oggi è il compleanno della nonna.” Come volevasi dimostrare. Un’occhiata, inutile, al calendario mi confermava le sue parole: era il 7 marzo. “Io sono già andata a trovarla prima, tu quando vai?”. La risposta era implicita: adesso.

Il pullman spalancò le sue porte di fronte a me e alla piantina, saldamente stretta nella mia mano. Mi sono seduta mentre il mezzo ripartiva. Il paesaggio mi scorreva davanti agli occhi, ma non prestavo molta attenzione: stavo pensando alla mela grattugiata. Guardando un bambino seduto sulle ginocchia di un’anziana signora, mi era tornato alla mente di quando c’ero io seduta a raccontare storie improbabili che pur assomigliandosi tutte, destavano la stessa bonaria attenzione in un paio di gentili occhi azzurri, identici ai miei. L’immagine assolata di un balcone estivo trasportò con se il sapore di una mela grattugiata la mela, però, era solo l’ultima tappa di un menù speciale, che la nonnina mi riserbava quando stavo poco bene: risotto bianco, servito nel mio piattino di plastica con le galline blu, poca carne, rigorosamente bianca, e per finire proprio la mela grattugiata, che a causa dell’elevato tasso di zucchero rientrava a pieno diritto nella categoria dei dolci e non della semplice frutta. Chissà poi dov’è finito quel piattino tanto colorato... E’ sparito insieme a tante altre abitudini. Come quella di passare interi pomeriggi a vedere telenovele, il cui significato mi era ancora poco chiaro, sedute al tavolo verde di casa sua mentre mangiavano il “segreto”, il panino con la cioccolata di cui la mamma non doveva assolutamente venire a conoscenza. Cioccolata senza zucchero, ovviamente, che non faceva male a nessuno ma che dava ugualmente l’impressione di chissà quale mistero.

Meno male che il viaggio sull’autobus era finito: stavo cominciando a diventare malinconica, ripensando alla mia infanzia. Voglio dire, i ricordi sono belli, ma impietosi, come le fotografie: congelano momenti privilegiati, scelti... mentre gli altri finiscono nel dimenticatoio. E per quanto tu lo voglia non torneranno mai. Ma per fortuna fungono anche da memento: sono lì, in un angolino della testa, pronti a saltar fuori nei momenti più impensati solo per dirti: “Ehi sei stata felice anche tu!”.

La ghiaia che le mie scarpe da ginnastica calpestavano, era simile ai miei pensieri: entrambi erano un ammassarsi confuso, che strideva con la gioia che quel giorno avrebbe dovuto portare con sé. Ma anche il tratto a piedi era concluso e non era più il momento di pensare: ero davvero arrivata. “Ciao nonna, auguri!” Mi sforzavo di mantenere il sorriso, ma era una battaglia persa in partenza: mi ero già accorta che una lacrima stava rotolando sulla mia guancia. Tuttavia sembrava che lei non lo avesse notato: il suo viso nella foto era sempre sorridente.


[home]