Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza
La musica riempiva la stanza e la mia testa, quando la porta si è aperta. Le note
avevano coperto il famigliare rumore delle chiavi che giravano nella toppa e
l’ingresso di mia madre, che ora stava sulla porta a fissarmi. Forse perché
stavo ballando. Teneva tra le mani una piantina i petali di un colore
sgargiante. Non so come ma la visione di quel vasetto mi dava la netta
sensazione che avrei dovuto ricordare qualcosa. “Oggi è il compleanno della
nonna.” Come volevasi dimostrare. Un’occhiata, inutile, al calendario mi
confermava le sue parole: era il 7 marzo. “Io sono già andata a trovarla
prima, tu quando vai?”. La risposta era implicita: adesso.
Il pullman spalancò le sue porte di fronte a me e alla piantina, saldamente
stretta nella mia mano. Mi sono seduta mentre il mezzo ripartiva. Il paesaggio
mi scorreva davanti agli occhi, ma non prestavo molta attenzione: stavo pensando
alla mela grattugiata. Guardando un bambino seduto sulle ginocchia di
un’anziana signora, mi era tornato alla mente di quando c’ero io seduta a
raccontare storie improbabili che pur assomigliandosi tutte, destavano la stessa
bonaria attenzione in un paio di gentili occhi azzurri, identici ai miei.
L’immagine assolata di un balcone estivo trasportò con se il sapore di una
mela grattugiata la mela, però, era solo l’ultima tappa di un menù speciale,
che la nonnina mi riserbava quando stavo poco bene: risotto bianco, servito nel
mio piattino di plastica con le galline blu, poca carne, rigorosamente bianca, e
per finire proprio la mela grattugiata, che a causa dell’elevato tasso di
zucchero rientrava a pieno diritto nella categoria dei dolci e non della
semplice frutta. Chissà poi dov’è finito quel piattino tanto colorato...
E’ sparito insieme a tante altre abitudini. Come quella di passare interi
pomeriggi a vedere telenovele, il cui significato mi era ancora poco chiaro,
sedute al tavolo verde di casa sua mentre mangiavano il “segreto”, il panino
con la cioccolata di cui la mamma non doveva assolutamente venire a conoscenza.
Cioccolata senza zucchero, ovviamente, che non faceva male a nessuno ma che dava
ugualmente l’impressione di chissà quale mistero.
Meno male che il viaggio sull’autobus era finito: stavo cominciando a diventare
malinconica, ripensando alla mia infanzia. Voglio dire, i ricordi sono belli, ma
impietosi, come le fotografie: congelano momenti privilegiati, scelti... mentre
gli altri finiscono nel dimenticatoio. E per quanto tu lo voglia non torneranno
mai. Ma per fortuna fungono anche da memento: sono lì, in un angolino della
testa, pronti a saltar fuori nei momenti più impensati solo per dirti: “Ehi
sei stata felice anche tu!”.
La ghiaia che le mie scarpe da ginnastica calpestavano, era simile ai miei
pensieri: entrambi erano un ammassarsi confuso, che strideva con la gioia che
quel giorno avrebbe dovuto portare con sé. Ma anche il tratto a piedi era
concluso e non era più il momento di pensare: ero davvero arrivata. “Ciao
nonna, auguri!” Mi sforzavo di mantenere il sorriso, ma era una battaglia
persa in partenza: mi ero già accorta che una lacrima stava rotolando sulla mia
guancia. Tuttavia sembrava che lei non lo avesse notato: il suo viso nella foto
era sempre sorridente.