Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
Primo Classificato sez. prosa

MADEMOISELLE SELÈNE
di Lorenzo Pasciuti 4aD


...la vera vita del pensiero dura soltanto fino al
confine delle parole: oltre il pensiero muore...
(Charles Boudelaire)


L’aria sapeva di carboncino.
Un profumo d’arte velava i contorni dell’intera stanza di scartoffie, fogli stracciati, polvere, cicche rinsecchite, corti centimetri di matita e un respiro inquieto.
David sedeva su una sedia al centro della stanza, sulle gambe una sottile asse di legno e un foglio bianco. Trino, alla sua destra era steso a terra un astuccio ricolmo di mozziconi di matite, una seppia, un taglierino e polvere di carboncino. Alla sua sinistra una bottiglia vuota di birra. Aveva davanti un divano vuoto, coperto da un lenzuolo stropicciato e cuscini accartocciati. In mano un frammento di carboncino. Si sfregò il volto, la barba ispida di due giorni. Due profonde occhiaie gli ferivano le guance e un peso all’altezza dello sterno lo schiacciava sulla sedia. Il carboncino sembrava piombo e David non era in condizione di tracciare alcuna linea. Il soggetto era ben impresso nella sua mente, si era convinto fosse quello giusto, finalmente. Ma alfine non se ne voleva uscire da quella dannata testa. Lo pervase una stanca rabbia: David, l’anima di un artista, l’inconcludenza di un bambino.
Rumori sulle scale. Bussano alla porta. Non aspetta nessuno, avranno sicuramente sbagliato. Tornò a fissare il foglio e ricadde nel suo coma artistico. Bussano di nuovo. Stancamente si risollevò, appoggiò asse e foglio sulla sedia e si avvicinò all’uscio, si risistemò la canottiera sgualcita e, appoggiato allo stipite, girò la chiave, sciolse la catenella e socchiuse la porta.
Sulla soglia si presentò una donna in abito nero. David la fissò impietrito, non sapeva da cosa, non sapeva perché. La donna taceva, poi fece un passo avanti; David venne oltrepassato e si tirò da parte.
«Ecco dunque dove abiti ».
David non riuscì a pronunciare una parola, ma interrogò l’ospite con lo sguardo. Guardandosi intorno la donna si tolse il nero cappello a falda larga e lasciò cadere una chioma d’ebano giù sulle spalle.
« Da tempo desideravo venire a trovarti, ma ho lasciato che arrivasse il momento ».
Si levò il soprabito e rivelò un leggero vestito nero, largo sulle spalle, stretto in vita. Splendeva di incolore armonia.
«Vorrei da te un ritratto ».
Il vestito, slacciato, si adagiò a terra come se contenesse solo aria, carezzando la pelle candida e liscia della donna con mano di velluto.
David era rapito, non dalla seminudità dell’ospite, ma dall’aura che la avvolgeva senza lasciar trasparire un solo raggio di folgore.
Con la coda dell’occhio vide il foglio bianco appoggiato all’asse e gli parve di scorgervi un fremito, così come aveva tremato il suo cuore nell’aprire la porta. Si diresse, allora, verso il divano, come un naufrago appeso a una sottile trave logica in una tempesta di immagini e pensieri sconnessi. Risistemò il lenzuolo e sbatté i cuscini; poi, mentre la donna si adagiava nuda e leggiadra sul divano, accovacciato a terra, appuntì il carboncino. Si sistemò sulla sedia e carezzò il foglio, gli occhi chiusi, il respiro sospeso. Inspirò profondamente, svuotò i polmoni e con gli occhi doloranti per il sonno perso e il tormento implacabile del suo coma fissò attentamente la donna. Lo sguardo saltava freneticamente qua e là, l’aria parve farsi pesante: si sentiva soffocare, preda di un’agitazione, di un improvviso slancio ispirato. La mano fremeva e il carboncino gli scottava tra le dita. Il cuore tremava ancora, inquieto, e il respiro sfumò la prima linea tracciata sul foglio. I pensieri si diffondevano per i polpastrelli, in linee essenziali e sfarzi ombrosi.
Il profilo della donna palpitava dentro il foglio e David con rapidi tratti riuscì a placarlo, ma senza riuscire a placare il tremore che gli agitava l’anima.
La pelle traspariva fulgida e pallida, resa ancor più candida dal velo d’ombre che sembravano voler scivolar via, nascondendosi lontano dalla luce. E nel respiro angosciato delle linee David sentì gli occhi pesargli sulle palpebre. Un lancinante senso di nausea non gli dava tregua: era questo ciò che lo impietriva, mentre nel corpo gli si diffondeva un’energia che gridava espressione e insieme gli infiacchiva i muscoli. Le gambe avrebbero voluto tremare, strette da un cappio al ginocchio; le braccia soffocavano nei gomiti e le mani, come prese da un crampo, si rifiutavano di reggere più a lungo il carboncino. Era grido. Grido generato chissà dove, incapace a capacitarsi di dover uscire per una bocca, incredulo a doversi accontentare di diffondere da un paio di mani. Era grido d’arte. Un’escrescenza poetica dalla mente di un dio. Energia crescente incontrollabile viva alla vista di quella donna. Energia turgida come un’onda, sempre più gonfia, sempre più tagliente in cresta, si accumulava in lacrime di fuoco, appese all’angolo degli occhi - estrema manifestazione dell’anima -. Ma il filo dei pensieri di David si era perso in un inestricabile gomitolo. La fine percezione e sensibilità di quell’istante era andata perduta nella bassezza dell’incomprensione e nell’inconfutabile fine cui sarebbe presto andata incontro.
Ultimo atto di una tragedia eroica, gli occhi ammiccarono sul foglio per mano di David. Fuoco bianco. Fiamma di un’ancestrale paura. E David abbandonò il ritratto, prima di doverne essere abbandonato. Gli diede un ultimo sguardo angosciato, poi più nulla: non avrebbe prolungato quell’inutile agonia, quell’univoco addio. Non più un abbraccio tra padre e figlio. David l’avrebbe lasciato andare a nuovi occhi, a nuovi cuori, e se ne sarebbe rimasto con la sua sola malinconia. Ormai quell’opera non era più sua, gli portava solo via un pezzo di anima. Addio.
La donna prese il foglio senza dire una parola, senza quasi guardarlo, si rivestì e mentre si rimetteva il cappello mormorò:
« A presto ».
Uscì e la porta si richiuse alle sue spalle, lasciando lo stesso silenzio che all’ingresso. David non si era mosso dalla sedia e fissava l’ombra di pieghe che la donna aveva lasciato sul divano. Le gambe fremevano ancora per correre via, senza averne la forza, il bruciore del cappio imperturbabilmente al ginocchio. David si sentiva come un giuda che si fosse lasciato sfuggire di mano il suo dio. L’aveva forse toccato in quel momento, per un solo istante e poi il nulla. O la totale consapevolezza di aver perduto il tutto. Frenesia.
Inquietudine. Un’arte improvvisa e devastante. Forse l’unica vera poesia. Ma nulla è più terribile dell’impossibilità di creare, generare e partorire il dio che mi attraversa la mente e mi danna l’anima. Frenesia rinnovata. Inquietudine irascibile. Ora fremevano i polsi, insaziabili di carboncino. A nulla, però, valeva disegnare... in una tormentata illusione di poter svelare l’ineffabile. In preda a uno spasmo di consapevolezza, sentì che l’anima si allontanava da lui passo dopo passo, preda di un foglio, pronta a sprigionarsi e a dargli nuovo respiro... e David giacque senza fiato sulla sedia, alla sua destra un astuccio e in mano una scheggia di carboncino, alla sua sinistra una porta chiusa e l’anima ormai lontana.


 

 

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