Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza
“Sai Marco, ci sono un paio di cose di cui dobbiamo parlare, un giorno. Magari
davanti ad una birra, sdraiati sul pratone del Parco un giorno di sole, come ai
vecchi tempi... però sul serio, ci sono delle cose che devo dirti. O perlomeno,
che devo dire a qualcuno.” I due amici stavano tornando a casa dopo un lungo
pomeriggio di scuola, protratto fino a tarda ora da inutili quanto noiose
lezioni spacciate per “argomenti d’attualità per giovani”. Marco avanzava curvo
sotto lo zaino pensando ora svogliatamente ora con interesse ai discorsi
dell’amico; conosceva Federico, e sebbene ne ammirasse la profondità di
pensiero era talvolta annoiato, quasi disgustato dalle continue riflessioni che
spesso degeneravano in pessimistiche lezioni di vita. Però questa volta sapeva
che era diverso; da tempo ormai, il Fede sembrava turbato, come se qualcuno ne
avesse incarcerato la voglia di vivere con prigioni di chissà quali pensieri.
Furono interrotti i suoi pensieri da un improvviso moto d’animo del suo
compagno di strada, quasi non riuscisse a trattenersi: “perché vedi,
sinceramente... me ne vergogno quasi... è come se.... Voglio dire, quando ti
alzi la mattina non hai un pensiero fisso cui tutto sembra ruotare intorno,
come se senza di esso non solo non avesse senso, ma tutto il resto non dovrebbe
nemmeno esistere... e se quel pensiero dovesse pesarmi come un peccato, come
posso fare a sopportarlo? Cioè, non so come dire, ...; tu cosa pensi guardando
il tramonto, non ti sembra un ennesimo giorno sprecato, mancato a” “senti Fede:
tu sai quanto io odi l’idealismo, i valori e tutto ciò che spacciano per
assoluto” interruppe Marco infastidito da discorsi troppo filosofici per avere
importanza nel mondo reale “anche se so bene che tu li senta comunque
importanti nella tua vita. Io non credo che abbia senso: non c’è motivo per cui
uno debba rovinarsi la vita alla ricerca di ciò che solo la sua speranza prende
per vero, senza accorgersi che il modo giusto, se giusto si può dire, di vivere
ce l’ha davanti agli occhi. Non so perché stai cosi male, ma ti dico di non
rovinarti la vita intorno al nulla”. Federico abbassò gli occhi, grato per i
consigli ma troppo stanco e svogliato per ribattere a ciò che lui considerava
vere e proprie bestemmie filosofiche, cavolate facilmente confutabili da chi,
come sentiva di essere, aveva visto e vissuto troppe cose per rimanere
impassibile di fronte alle emozioni. “Comunque ci conto, questo sabato ci
vediamo e facciamo una bella chiacchierata” “bene, ... dai, ci vediamo domani
Croupier”. Croupier era il vecchio soprannome di Marco; nessuno si ricordava
l’origine di tale nome, anche perché Marco con le carte non è che ci sapesse
proprio fare. Lo vide allontanarsi verso la fermata del bus, mentre con delle
gambe che non sembravano neanche più sue, si trascinava verso casa. Cercò di
distrarsi, ma fu più forte di lui: in poco tempo la sua mente fu occupata
ancora dai soliti pensieri, dalle solite angosce, dai soliti segreti che
sentiva di non poter più sopportare. Eppure sentiva che era giusto così, che ne
valeva la pena, che aver visto il suo volto ed esserne rimasto instupidito
valeva più di mille vite passate felici, ma inconsapevoli. Chi è che lo diceva,
forse Mill, o un altro del genere: “meglio un uomo insoddisfatto che un maiale
felice” o una boiata simile. Forse era illusione, ma non avrebbe scambiato quei
pomeriggi passati ad osservarla, a parlarci, con quelli di nessun altro. Ancora
adesso, come fosse normale, allungò leggermente il tragitto per passare sotto
casa sua; chissà magari l’avrebbe vista uscire, o rientrare. Ma sapeva che solo
il pensarla al di là di quel muro, di quel vetro l’avrebbe un poco confortato.
Poteva essere una cosa normale se…
Marco, per gli amici Croupier, stava dritto con gli occhi rossi davanti al
lettino dell’ospedale. Solo allora si rese conto di quanto per Fede potesse
essere importante quel sabato. Che non sarebbe mai venuto. Un tizio in auto,
gli avevano detto. Chissà se stronzo o per bene, magari padre di famiglia.
Fatto stava che adesso Fede se ne stava andando, imprigionato in un limbo
sempre più stretto tra questo mondo e il nulla. E si stava portano via il suo
segreto. Sperò fosse una cosa di poco conto, come ne capitano tante mentre si
cresce e si fa finta di averlo già fatto. Qualsiasi cosa fosse, adesso si stava
perdendo. E sapeva che al mondo, in fondo, non gliene sarebbe importato nulla.