Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”


“COME ANDRà A FINIRE?”
di Luca Cazzaniga - 5aE


“Sai Marco, ci sono un paio di cose di cui dobbiamo parlare, un giorno. Magari davanti ad una birra, sdraiati sul pratone del Parco un giorno di sole, come ai vecchi tempi... però sul serio, ci sono delle cose che devo dirti. O perlomeno, che devo dire a qualcuno.” I due amici stavano tornando a casa dopo un lungo pomeriggio di scuola, protratto fino a tarda ora da inutili quanto noiose lezioni spacciate per “argomenti d’attualità per giovani”. Marco avanzava curvo sotto lo zaino pensando ora svogliatamente ora con interesse ai discorsi dell’amico; conosceva Federico, e sebbene ne ammirasse la profondità di pensiero era talvolta annoiato, quasi disgustato dalle continue riflessioni che spesso degeneravano in pessimistiche lezioni di vita. Però questa volta sapeva che era diverso; da tempo ormai, il Fede sembrava turbato, come se qualcuno ne avesse incarcerato la voglia di vivere con prigioni di chissà quali pensieri. Furono interrotti i suoi pensieri da un improvviso moto d’animo del suo compagno di strada, quasi non riuscisse a trattenersi: “perché vedi, sinceramente... me ne vergogno quasi... è come se.... Voglio dire, quando ti alzi la mattina non hai un pensiero fisso cui tutto sembra ruotare intorno, come se senza di esso non solo non avesse senso, ma tutto il resto non dovrebbe nemmeno esistere... e se quel pensiero dovesse pesarmi come un peccato, come posso fare a sopportarlo? Cioè, non so come dire, ...; tu cosa pensi guardando il tramonto, non ti sembra un ennesimo giorno sprecato, mancato a” “senti Fede: tu sai quanto io odi l’idealismo, i valori e tutto ciò che spacciano per assoluto” interruppe Marco infastidito da discorsi troppo filosofici per avere importanza nel mondo reale “anche se so bene che tu li senta comunque importanti nella tua vita. Io non credo che abbia senso: non c’è motivo per cui uno debba rovinarsi la vita alla ricerca di ciò che solo la sua speranza prende per vero, senza accorgersi che il modo giusto, se giusto si può dire, di vivere ce l’ha davanti agli occhi. Non so perché stai cosi male, ma ti dico di non rovinarti la vita intorno al nulla”. Federico abbassò gli occhi, grato per i consigli ma troppo stanco e svogliato per ribattere a ciò che lui considerava vere e proprie bestemmie filosofiche, cavolate facilmente confutabili da chi, come sentiva di essere, aveva visto e vissuto troppe cose per rimanere impassibile di fronte alle emozioni. “Comunque ci conto, questo sabato ci vediamo e facciamo una bella chiacchierata” “bene, ... dai, ci vediamo domani Croupier”. Croupier era il vecchio soprannome di Marco; nessuno si ricordava l’origine di tale nome, anche perché Marco con le carte non è che ci sapesse proprio fare. Lo vide allontanarsi verso la fermata del bus, mentre con delle gambe che non sembravano neanche più sue, si trascinava verso casa. Cercò di distrarsi, ma fu più forte di lui: in poco tempo la sua mente fu occupata ancora dai soliti pensieri, dalle solite angosce, dai soliti segreti che sentiva di non poter più sopportare. Eppure sentiva che era giusto così, che ne valeva la pena, che aver visto il suo volto ed esserne rimasto instupidito valeva più di mille vite passate felici, ma inconsapevoli. Chi è che lo diceva, forse Mill, o un altro del genere: “meglio un uomo insoddisfatto che un maiale felice” o una boiata simile. Forse era illusione, ma non avrebbe scambiato quei pomeriggi passati ad osservarla, a parlarci, con quelli di nessun altro. Ancora adesso, come fosse normale, allungò leggermente il tragitto per passare sotto casa sua; chissà magari l’avrebbe vista uscire, o rientrare. Ma sapeva che solo il pensarla al di là di quel muro, di quel vetro l’avrebbe un poco confortato. Poteva essere una cosa normale se…

Marco, per gli amici Croupier, stava dritto con gli occhi rossi davanti al lettino dell’ospedale. Solo allora si rese conto di quanto per Fede potesse essere importante quel sabato. Che non sarebbe mai venuto. Un tizio in auto, gli avevano detto. Chissà se stronzo o per bene, magari padre di famiglia. Fatto stava che adesso Fede se ne stava andando, imprigionato in un limbo sempre più stretto tra questo mondo e il nulla. E si stava portano via il suo segreto. Sperò fosse una cosa di poco conto, come ne capitano tante mentre si cresce e si fa finta di averlo già fatto. Qualsiasi cosa fosse, adesso si stava perdendo. E sapeva che al mondo, in fondo, non gliene sarebbe importato nulla.


 

 

[home]