Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
Secondo Classificato sez. prosa

“ALLE QUATTRO DA QUALCHE PARTE A LINCOLN PARK”
di Riccardo Galli - 5a F

Tutto il movimento è compiuto in sei passi,
e il settimo porta il ritorno.
Perché il sette è il numero della giovane luce,
si forma quando l'oscurità viene aumentate di uno.

Pink Floyd, Chapter 24


C'era una volta, a Lincoln Park, una panchina. A dir la verità, ce n'erano tante, ma era una sola quella cercavo. 
Affrettai il passo, le scarpe slittavano nel terriccio lubrificato dalle dolci piogge d'aprile, che penetrano la siccità alla radice. E la pazienza, anche: l'acqua pareva frugare ogni centimetro del mio pastrano stile Tenente Colombo; cercava uno spiraglio, un'apertura, una serratura nel tessuto impermeabile con curiosità, astuzia, paziente frenesia. Come un destriero aumenta la propria velocità ad ogni colpo di sprone, così ogni singola goccia allungava le mie falcate. 
Il sentiero era una ferita di terra battuta nel corpo della pineta. Le conifere, il verde dei loro mantelli reso cupo dal fitto tendaggio di nubi, si fondevano le une nelle altre al mio veloce passaggio; nella luce cinerina divenivano una volta che confinava il mio passare. L'acqua cadeva a piccole gocce e cantava quando incontrava il tetto d'aghi che copre la cattedrale silvana. La sua canzone parlava di fiori che nascono, alberi che vivono e inverni che muoiono, era un incantesimo che filtrava in ogni più remota fibra del mio corpo. Le gambe mi si fecero più leggere, il respiro più facile, mi scoprii a correre senza sapere quando avessi cominciato. Avrei potuto continuare per ore: gli aironi cavalcano il vento, i delfini cavalcano le onde, io cavalcavo la pioggia. 
La navata silvestre s'interruppe bruscamente quando giunsi ad un piccola radura dominata da un albero maestoso, vecchio forse tanto quanto la terra in cui affondava le sue radici. Al suo cospetto, l'acqua cambiò voce e l'incanto finì. Entrai nell'abbraccio verde scuro, schivando le dita nodose del vecchio pino."Vecchio cieco! Non mi riconosci più dal mio passo? Hai bisogno di tastare la mia pelle con i tuoi polpastrelli, di passare le mie ossa sotto le tue mani? Sai che non posso permettertelo: il mio cappotto è nuovo di zecca." 
Una sgangherata panchina di legno, vestita d'edera soltanto a metà, offriva ristoro ai pochi viandanti che s'avventurassero in quelle terre. Stava là, accoccolata tra i piedi del Pino come un cucciolo tra le zampe della madre. Parve chiamare il mio nome, e mi sedetti senza indugio. "Non mi riconosci dunque più, vecchio mio?" Dong! 
Il campanile della chiesa di S. Giovanni batté un colpo. Il rintocco, uno dei Quattro Araldi del Mezzo Pomeriggio, arrivò inaspettato, pellegrino giunto da lidi lontani molti e molti passi da quella contrada. 
"Quali nuove dalla Cattedrale, o Primo Araldo di Mezzo Pomeriggio? Forse ti manda Padre Tempo ad annunciare che il momento è giunto?" 
"Già sapete la risposta, messere. Presto arriveranno anche gli altri miei fratelli". 
"Sono le quattro in punto, dunque. La mia bella dama senza pietà ancora non si vede. Forse teme che le carezze della pioggia siano troppo rudi? Forse che qualche Arcana Influenza la tiene segregata nelle sue stanze?" 
"Ricordi almeno lei, vecchio pino? Di lei ti ricordi? Ricordi quando gli inverni passavano veloci e amavi indossare uno scialle di neve? Il sole correva nel segno dell'Acquario, e i merli non ti allietavano con i loro ritornelli, troppo impegnati a cercarsi un rifugio fra i comignoli. Era lei, lei sola che danzava per te in questa radura, e il suo riso bastava a dissetare il tuo cuore inaridito dal gelo e dagli anni. Allora ti riempisti avido gli occhi del bagliore falbo delle sue chiome, non vorrai dirmi che l'hai dimenticata?" 
"Taci, folle innamorato, non sai di che parli! Giusto è il nome che le hai dato, bella dama senza pietà! Bella è davvero, ma la sua stretta è forte, e non lascia scampo. Banshee la chiamo io: gaio è il suo riso, ma terribile e latore d'angoscia! Sventurato chi lo ascolta! Me misero! I secoli sono scivolati su questa mia antica corteccia senza intaccarla, ho visto la tua stolta razza strisciare nel fango per molte decadi prima che levasse il capo e sottomettesse noi, i Primogeniti. Molte asce si sono smussate cercando di ferirmi, e ora la mia dipartita è stata annunciata da una fanciulla!" 
La voce dell'Antico sorgeva ruvida, potente e minacciosa come il tuono. 
"Ma che vai dicendo, temo che tu..." Dong! Il Secondo degli Araldi rintoccò. "The time is nigh, milord". 
"Quando il terzo dei Quattro Fratelli avrà bussato, Colei Che Tutto Miete verrà a prendermi. Zitto ora, già sento il suo passo. Devo vestirmi per il mio funerale." 
L'aria si fece più cupa, come se un etere malvagio l'avesse appestata. Un'aura sacrilega emanava dalle fronde del pino, una ragnatela di emozioni profonde quanto le fondamenta del mondo. Dei fungacci biancastri che allignavano fra le forre più oscure delle radici dell'Antico s'accesero d'una luminescenza sinistra. Mi levai di scatto dalla panchina, le cui assi, malferme sui chiodi rosi dalla ruggine erano troppo simili ad un ghigno sgangherato. La poggia aveva smesso di cadere, e un sudario di fitta caligine vorticava attorno all'albero. I Lupi del Vento presero ad ululare tra i rami del pino, ma non sembravano capaci di scacciare la nebbia. 
Esitante, mi voltai a guardare il vecchio: quel poco di tronco che potevo vedere era nero come un obelisco di ossidiana, e i bassorilievi d'edera si erano brunite. Parevano rivoli di sangue rappreso. "Che fai vecchio?! Conosco la mia bella! Non è lei quella che temi! Presto verrà, e se l'accogli così, fuggirà via!" 
"Sciocco, allora ha ammaliato anche te! Io l'ho vista errare tra i miei fratelli alla luce delle stelle, e ogni volta che il suo riso echeggiava nel bosco, uno di loro mancava all'appello. Già troppe volte ha danzato per me: sono io il prossimo!" 
Un brivido camminò lento lungo tutta la mia schiena. 
Dong! 
Trasalii. Il terzo dei Quattro Fratelli giunse e passò, taciturno. 
Ebbi l'impulso di nascondermi, ma una volontà sconosciuta mi costrinse a torcere il collo. 
Fronteggiavo la nebbia, un esercito di fantasmi bianchi che inghiottivano ogni sospiro. 
Poi un canto come di sirena rimbalzò tra i vapori e approdò fino a me. 
Non potevo muovere un solo muscolo; i miei occhi erano spalancati e le mie orecchie tese. 
Sentivo ogni singolo ago fremere, mentre sfiorava il mio volto tremando d'impazienza e timore. 
La nebbia s'aperse lentamente come una conchiglia, e una figura si fece avanti. Era una donna, avvolta in candide vesti svolazzanti. Aveva capelli d'una luminosità abbagliante nel grigiore della radura, e il suo volto snello era la più bella perla ch'avessi mai visto. Eppure, qualcosa non andava. Me ne accorsi quando entrò nel cerchio tracciato dai rami del pino, passando attraverso le difese del vecchio come se nulla fosse. Il suo volto era troppo scarno, la pelle eburnea tirata oltremodo sul teschio affilato. 
"B-banshee..." 
M'inchiodò sul volto due occhi profondi e scuri come il cielo a mezzanotte. 
Sorrise un momento, annuì, poi mi oltrepassò. Tese la mano verso l'Antico, e fece scorrere l'indice in verticale sulla corteccia, dall'alto verso il basso. 
"Vieni amico, è il momento." 
"No! No. No..." 
"Tutta la tua vita hai desiderato vedere oltre quest'orizzonte. Per secoli hai invidiato gli effimeri umani, che nella loro miseria e nella loro follia potevano giungere anche più lontano dei tuoi aghi trascinati via dal vento dell'Est." 
"Ma... io..." La voce del vecchio era già addolcita. 
"Ora saprai dove dorme il sole, berrai direttamente dal vaso l'acqua che finora ti è stata versata a piccole gocce, incontrerai le foglie di quercia trapassate in autunno e danzerai con loro. Vieni" 
L'ultima parola fu pronunciata come un comando, un ordine secco e dolce come il legno di salice. Dove la donna aveva posato il dito, s'apri una fessura nella corteccia. Ben presto s'allargò, divenendo uno stretto pertugio. Ne uscì una mano. La Dama in Bianco la prese con delicatezza, e tirando piano aiutò un vecchio ad uscire dal tronco del pino. Era ancora vigoroso, ma quel poco di volto che trapelava sotto una folta barba canuta era solcato da una trama di rughe, tessute da Padre Tempo in persona. I due si sorrisero, poi procedettero mano nella mano fino al limitare della nebbia. Lì la donna s'arrestò, mentre il vegliardo proseguì senza voltarsi. 
Dong! Il quarto Araldo giunse, portando con sé un raggio di sole. "Ecco il mio dono -disse- Il momento è passato". 
Alla luce del Mezzo pomeriggio, la bruma si dissolse più in fretta che se fosse stata tenebra. 
La banshee si trasformò allora: il bagliore delle sue chiome da bianco accecante si fece dorato. Il colore tornò sulle sue guance. 
"Mia dama, finalmente sei giunta" 
"Puff... ho fatto una corsa... avevo la sciarpa che mi svolazzava dietro..."
"Grazie per aver fatto coraggio al vecchio pino. Non ci sarei mai riuscito da me." 
"Ma che dici? Non capisco, sono appena arrivata... E da quand'è che mi chiami dama? Meno male che c'è sta panchina, devo prendere fiato un attimo". 
Sedutasi, rise forte, e spazzò via le ombre tra i rami del pino trapassato. I suoi occhi erano profondi e scuri come il cielo stellato a mezzanotte. 
Era bella come l'avevo spesso immaginata, come non l'avevo vista mai. 

 

[home]