Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”
Secondo Classificato

“LA MACCHIA DI PULITO”
di Vanja Vasiljevic - 3a C



Mi chiamo Alice Pennati, ho 36 anni e sono una donna delle pulizie. 

Il mio lavoro consiste principalmente nel raccogliere il sudiciume che vi lasciate dietro cercando così di mettere ordine nelle vostre vite. È un mestiere difficile che richiede tanto fegato, una certa vocazione per straccio e CIF e soprattutto forte curiosità per le vite altrui. Non avete idea di quanto io possa capire della vostra vita grazie alla presenza (o assenza) di alcuni oggetti nelle vostre dimore. 
Una delle faccende più divertenti è pulire il frigorifero, magico scrigno colmo di sorprese; sono diventata talmente esperta che dalle macchie di cibo so stabilire la data a cui risale l’ultimo lavaggio. Il fattore più interessante però è il contenuto. Frutta e verdura abbandonata da una settimana arricchita da deliziosi ammassi di muffa, jogurt scaduto da quattro giorni, succhi di frutta neanche aperti; magari il tutto corredato da avanzi di Mc Donald’s della sera precedente? Come non intuire subito l’ennesimo tentativo di una dieta che non vuole ingranare. Oppure aprire e trovarsi davanti al vuoto cosmico, se non fosse per il tubetto del ketchup e i cibi surgelati nel freezer. Quanta delizia, quanto piacere nell’annunciarvi che ci troviamo di fronte a un giovane che abita da solo, credendo di poter rendere soddisfacente la propria vita con una carriera. 
Un’altra mansione che mi appassiona assai (nonostante il ribrezzo che suscita in molti individui) è separare la spazzatura che buttate in un unico contenitore secondo la raccolta differenziata. Ritengo che si tratti di un’azione molto complessa per i cervello umano, non avendo ancora trovato un datore di lavoro che sappia distinguere la carta dalla plastica. Ebbene se trovo swiffer usati, sacchetti dell’aspirapolvere pieni, confezioni di Mastro Lindo vuote capisco immediatamente che avendo paura del mio giudizio, avete pulito prima del mio arrivo; quindi siete insicuri e sopraffatti da complessi di inferiorità. 
Ovviamente non approdo a queste diagnosi senza prima averle confermate da altri sintomi nella casa. Mentre spolvero la libreria non posso desistere dal leggere i titoli dei volumi che mi trovo davanti e esaminare con attenzione quelli che sembrano più logori. Opere filosofiche o romanzi rosa stracolmi di sentimenti stereotipati? Sono infinite le informazioni che posso trame. 

Qualche settimana fa però sono finita nella casa di una signora sessantenne, in via de Gasperi 6; dico “finita” perché ho dovuto sostituire senza preavviso una mia collega e dalla fretta non mi ricordo neppure per quali vie sono passata. Non avevo alcun pensiero per la testa se non finire il prima possibile per poi tornare a casa e rileggere Anna Karenina con il mio gatto Pel accovacciato tra le gambe. 
Sono arrivata davanti all’uscio; tre mandate. 

Apro la porta e... splendore! mi sono sentita quasi accecare dal bagliore che ogni superficie di quella casa emanava. Avevo la sensazione di essere finita nel Paradiso delle donne delle pulizie, dove i pavimenti brillano di luce propria, le finestre sembrano non avere vetri e si assapora un delicato profumo di Glade. Presa da un’irrefrenabile voglia di esplorare quel nuovo mondo ho chiuso la porta e mi sono sentita un’investigatrice. Non ho mai visto pavimenti così curati, il marmo lucido senza una briciola; il parquet levigato, privo di difetti, come se nessuno vi avesse calpestato sopra. Non ho scorto neanche una micro particella di polvere (e credetemi ho un occhio sopraffino per queste cose), come se il tempo si fosse fermato, come se in quel luogo la sciagurata non potesse esistere. Con molta cautela sono scivolata in cucina e ho sentito il cuore fermarsi di fronte alla totale assenza di piatti da lavare, alla mancanza di macchie sui fornelli, al frigorifero gonfio di pietanze messe in ordine secondo uno schema preciso. Pervasa da un senso di gioia sono corsa in bagno e quelle merveille! Il water era talmente lindo che penso che chiunque avrebbe preferito mangiare lì piuttosto che sui tavoli dei fastfood; la doccia, ah la doccia!, troneggiava in fondo alla stanza priva di calcare, perfetta; il lavandino sembrava sorridermi e lo specchio non sembrava riflettere la realtà, ma rappresentarla. 

In quel momento però, vedendomi riflessa, ho avuto la sensazione di non essere al posto giusto. Sì, insomma, che cosa ci facevo io, donna delle pulizie, in un mondo in cui la mia mano non era necessaria ad alcunché? Un mio intervento avrebbe soltanto rovinato l’ordine perfetto, lo avrebbe alterato. Perché la proprietaria aveva chiamato un’agenzia di pulizie per una casa già pulita? Non aveva senso. 
Non si vedeva nemmeno una traccia di sporco in quella casa, eppure ne sentivo la presenza, come quelle macchie che non si vedono ma ci sono, quelle macchie che non macchiano ma lasciano l’odore. Non è possibile che una casa abitata possa non avere nemmeno un segno delle persone che ci vivono dentro. 

In quel momento qualcuno ha bussato alla porta e distogliendomi dai miei pensieri. Sono andata ad aprire e mi sono trovata davanti ad una donna non più nel verde dei suoi anni, con occhi poco inclini alla gentilezza, che corrispondeva alla descrizione della proprietaria che mi, aveva stilato in breve la mia collega. 
«Ancora qui?» ha tuonato; un brivido mi ha percorso la schiena. Ho sentito la sua voce roca percorrermi il cervello e finire dritta nelle gambe con conseguente perdita di equilibrio. 
Riacquistata coscienza di me stessa ho risposto: 
«Beh, sì», e che risposta idiota, ovvio che ero lì! «stavo giusto giusto per andarmene». 
«È sicura di aver pulito tutto a dovere signorina? Sa, domani arriva il mio figliolo, vorrei che fosse tutto a posto, senza alcuna macchia». 
«Sì, certo! Arrivederci signora». Ho cinguettato e scivolando tra lei e la porta sono sgusciata fuori. 

Prima di salire in macchina l’ho sentita accendere l’aspirapolvere. 

Era come se quella donna si sentisse sporca, in colpa per qualcosa, come se avesse una macchia addosso e tentasse in tutti i modi di cancellarla, di detergere il suo animo. 

Un paio di settimane dopo ho scoperto che non c’era nessun figlio.


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