Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”


“COME L’ARATRO IN MEZZO ALLA MAGGESE”
di Lorenzo Raffaglio - 4a G


“Ohé! ohé! E’arrivata la primavera!” vociavano le lavandaie con le gonne danzanti, i capelli raccolti nei veli scuri, le camicette un poco gualcite che lasciavano intravedere le forme generose, gli zoccoli che grattavano la strada e lasciavano tracce tra i sassi, appoggiato all’anca e retto col braccio il cestino con dentro i panni sporchi, il sapone, le spazzole, camminavano verso il lavatoio del paese tra i primi germogli e il gorgogliare dell’acqua nell’enorme vasca di pietra. Il sole quel giorno iniziava a splendere dopo il freddo inverno, abbarbagliava e ridonava colore alle cose; Agnese china e intenta sui suoi panni insaponati, le maniche tirate sopra i gomiti, mostrava una certa dimestichezza nel lavare e con metodo e velocità sciacquava, inzuppava, toglieva lo sporco. I suoi occhi erano grigi e verdi con scaglie ambra, occhi puri e gentili, buoni ma con un velo di nostalgia e rassegnazione, lineamenti delicati, un dolce sorriso, dei capelli ricadevano dal gruppo ordinato e racchiuso nel panno grigio, ciocche marroni e riflessi d’oro, la pelle delle mani era rovinata dalle faccende e dal lavoro nei campi, la vitiligine le chiazzava e sembrava che col sapone andasse ogni volta via un po’ di colore, silenziosa e col grembo gonfio del futuro nascituro ascoltava le chiacchiere delle altre intente nel suo stesso lavoro “La figlia del macellaio se la fa con l’Arturo! Quel galeotto!” “Va là! Che colpo verrà alla Giuseppina appena lo verrà a sapere” le voci si mischiavano ai colpi di spazzola e allo sbattere dei panni sulle assi di legno; Agnese ora era indaffarata con la camicetta di Michelino, il più piccolo dei tre figli che amava girovagare per il bosco, era un bambino molto silenzioso e se ne stava spesso sulle sue, “Ma come ha fatto a sporcarsi in questo modo?” pensava tra sé e con maggiore energia cercava di cacciare lo sporco ostinato; dava la sua vita alla famiglia, alla casa, si era sempre adoprata a far contento il marito e figli, anteponendo i loro ai propri desideri, ma non le pesava. Con le mani infreddolite dall’acqua accarezzava il suo grembo come se il bambino potesse giovare ai suoi gesti d’affetto, carezze di pietà, che vita avrebbe condotto? Da povero, destinato a morire povero e a spaccarsi la schiena fra i muggiti e il respirare della terra arata, tra il banco dei pegni e l’osteria, tra le damigiane e il puzzo, costretto a condividere il letto con la moglie e i figli e vederli infreddoliti nelle notti d’inverno con il nasino arrossato uniti e stretti. Con forza lavava i panni rendendoli lindi e profumati, come se potesse migliorare il futuro degli indossatori, Agnese era contenta per carità della sua vita, le piccole gioie sbocciavano e spiccavano come primule in un campo scuro e a riposo. Lasciò che il suo risentimento sgorgasse giù per il tubo del lavatoio per poi sentirne subito la ricomparsa. Tra ondate di sole e profumo di sapone e panni puliti, con i suoi due fardelli assieme alle altre si avviava verso casa per preparare il pranzo. 


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