Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”


“UNA MAGLIETTA DI RICORDI”
di Gloria Riva - 4a A


Era una domenica pomeriggio di inizio primavera e finalmente, dopo le molte sollecitazioni di mamma, avevo trovato il tempo, ma soprattutto la voglia, di fare il cambio dell’armadio. Fuori la temperatura era ideale per un giro in centro o al parco con gli amici, ma li avevo incontrati il giorno prima e, quindi, avevo deciso che potevo anche rinunciare a quel divertimento. Il sole iniziava a scaldare, il cielo era limpido senza nemmeno una nuvola, ma c’era vento, non quello leggero e piacevole, ma quello fastidioso che ti provoca il mal di testa. 
Non avevo tantissimi vestiti perché non mi piaceva andare a fare shopping, come tutte le altre ragazze della mia età, ma preferivo correre, passeggiare con Clara, la mia migliore amica, oppure stare in casa a dormire. Amavo riposare sul mio letto di una piazza e mezza e stare i pomeriggi a non fare nulla. Quelle poche volte che mi recavo ai centri commerciali o in centro per comprare qualche capo d’abbigliamento, dovevo andare con mamma poiché, senza di lei, avevo sempre il timore che acquistassi qualcosa che non fosse di suo gradimento. Con calma tirai fuori dal guardaroba i tre maglioni pesanti, il paio di pantaloni in ciniglia, quattro o cinque magliette che non mi piacevano e il piumino. Poi presi lo scatolone, che avevo in alto con l’abbigliamento primaverile, lo svuotai, mettendo ciò che c’era dentro nell’armadio, e riposi i vestiti invernali. 
Avevo impiegato circa un’ora e ripensandoci non era stato un impegno così gravoso e faticoso come avevo creduto. Stavo per rimettere al proprio posto lo scatolone, quando dietro a tutto vidi una maglietta. La presi in mano. Era piccola, rosa, con i bordini azzurri e un disegno al centro. Poi la girai per guardare cosa si nascondeva dietro. C’era una macchia rossa e ricordavo bene che cosa fosse, così tutto d’un tratto la gettai per terra e, presa dalla rabbia, la calpestai, ci saltai sopra e infine mi sedetti sul letto e la fissai. Il mio viso diventò rosso, gli occhi si riempirono di lacrime e avevo talmente tanta vergogna, mista a collera, che nascosi la faccia sotto al cuscino. 
Avevo solo cinque anni, ero nell’età in cui capivo quello che accadeva, ma non comprendevo ancora a fondo tutti i significati e i perché. Avrei voluto invece, non ricordare nulla, avere un vuoto di quegli anni e credere che la mia vita fosse incominciata più tardi, ma non era così. Vivevo in un’altra città, più a nord rispetto ad ora e con me abitavano mia mamma Cristina e mio papà Mario. Con loro avevo un buon rapporto, perché riuscivo a divertirmi sempre, a sorridere e a scherzare. Mi ricordo i giri in bicicletta sul seggiolino di Mario, le visite allo zoo e i pomeriggi sugli scivoli del parco giochi vicino a casa. 
Un giorno mia mamma mi venne a prendere all’asilo molto triste, ma non capivo perché, pensavo solo che fosse un pomeriggio un po’ noioso. Nient’altro. Ero piccola non potevo capire di più. Il viaggio in macchina fu silenzioso e arrivati all’ingresso di casa, mi sussurrò nell’orecchio di andare nella mia cameretta, senza porre troppe domande. Entrammo in casa, salutai il papà e le ubbidii perché volevo bene alla mamma e se lei mi dava un ordine, l’ascoltavo. Chiusi la porta, avevo quasi paura ma non conoscevo esplicitamente il motivo di questo mio timore. Dopo circa venti minuti sentii Cristina urlare contro Mario, sbattere le porte, un rumore di passi. Ora sì che mi era salita l’angoscia e il terrore e gli occhi diventarono lucidi. Nonostante questo ero forte, sapevo di esserlo. Aprii con delicatezza la porta della mia cameretta e andai a vedere cosa stava succedendo: mio papà e mia mamma stavano litigando. Non li avevo mai visti discutere prima d’ora, mi sembravano sempre molto felici e non capii. Come potevo comprendere qualcosa? Avevo solo cinque anni. Allora incominciai ad urlare e piangere insieme e notai che a Cristina scendevano alcune lacrime. Mi disse di tornare di là, ma ero paralizzata. A questo punto mio padre, che con il tempo scoprii essere stato ubriaco, mi diede uno schiaffo sul viso e poi con un piede sulla schiena mi cacciò via. Il giorno prima all’asilo mi ero graffiata proprio dove Mario aveva posto la sua scarpa e così mi uscì sangue. Incominciai ad urlare ancora più forte, mia mamma mi prese in braccio e urlò a mio padre di andarsene. Quel giorno facemmo subito le valigie, prendemmo degli scatoloni e ci mettemmo all’interno il minimo indispensabile. Per un po’ abitammo dai nonni, i genitori di Cristina, e poi comprammo casa. 
Era tutta colpa sua, era a causa sua se per moltissimo tempo la notte mi venivano gli incubi, se mi alzavo alle tre piangendo e se avevo paura degli uomini con la barba, proprio come lui. Il sentimento che più di tutti gli altri provavo era la delusione. Ero delusa da mio padre che mi aveva fatto credere di tenere a me, di starmi vicino e di rendermi felice e, invece, aveva rovinato la mia vita. 
Era solo una macchia, una macchia di sangue su quella maglietta rosa che mi aveva fatto venire in mente tutto. L’avevo messa io in fondo all’armadio perché non avevo mai trovato la forza di buttarla, probabilmente per paura. Non so neanche precisamente paura di cosa, ma ero molto timorosa. 
Quel giorno avevo deciso che doveva essere l’ultimo di quel capitolo, dovevo porre fine a quella parte della mia vita e così presi la decisione di gettarla. Passai dal salotto dove era seduta mia mamma, vide ciò che stavo facendo e capì tutto. Mi sorrise. Aprii il cestino. Non avrei più rivisto quella bruttissima macchia rossa ed ero felice. Ero contentissima.


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