Liceo Scientifico “Paolo Frisi” - Monza

Premio Letterario “Federico Ghibaudo”


“ETELIA, LA CITTÀ DI CRISTALLO”
di Antoniazzi Stefano - 5a F


Con un movimento brusco Henry spense la sveglia che già da una decina di secondi stava suonando sopra il suo comodino. Si stropicciò gli occhi e scese dal letto. Anche suo padre, Winston Legree, si era alzato ed era subito corso giù dalle scale per la colazione. Henry non riusciva a capire perché avesse sempre così tanta fretta tutte le mattine. Lui, al contrario, era molto più calmo, più simile a sua madre, che si stava vestendo nella camera accanto; la salutò con un bacio e scesero entrambi al piano inferiore dove era già pronto il tè con i biscotti per Henry e il caffelatte con una briòche per la donna. Tutto era stato preparato perfettamente dalla governante, la signora Fatima. 
Il ragazzo si guardò pigramente intorno: la cucina era linda, suo padre era impegnato a finire in fretta ciò che aveva davanti agli occhi. Henry, assonnato, intinse il primo dei cinque biscotti nella tazza e assaporò il rumore delle piccole bollicine d’aria che salivano in superficie e il loro lieve scoppiettio. Sembrava che tutti avessero qualcosa da fare, un orario da rispettare. Non vi era nessun sorriso sui loro volti, anzi, forse mancava addirittura un’espressione. Guardò di sbieco il biscotto e se lo infilò in bocca. Sbadigliò. 
— Ti vuoi muovere, Henry! L’autobus non aspetta certo te! — disse il padre. Già, il tempo non aspetta nessuno: è lui il vero padrone dell’esistenza. 
Dopo quel pacato rimprovero Henry accelerò il ritmo, così lui e il signor Legree riuscirono ad uscire di casa alle 7.45 come tutti gli altri giorni. Suo padre svoltò a destra, mentre lui si diresse verso la fermata dell’autobus, dove aspettò un paio di minuti prima di salire sul mezzo di trasporto che inevitabilmente era arrivato puntuale. Non ricordava che fosse mai stato in ritardo. Anzi, niente ad Etelia era mai in ritardo. Giunse a scuola cinque minuti prima dell’inizio delle lezioni, si sedette al banco, ma stranamente provò una certa insofferenza per quegli orari che stabilivano sempre in modo univoco ogni momento della sua vita. Tuttavia la campanella suonò e il ragazzo dovette accantonare le proprie riflessioni. 
Nel frattempo il signor Legree era arrivato al suo studio medico dopo aver incontrato un suo collega, il signor Stantley, presso l’arteria principale della città. Questo incontro fortuito si verificava ogni giorno feriale da quando il signor Legree aveva cambiato il proprio luogo di lavoro, ossia circa quindici anni fa. Le conversazioni tra i due variavano dal tempo atmosferico ad argomenti inerenti alla medicina, dal loro lavoro a comuni pazienti. Allo scattare del semaforo verde però la discussione s’interrompeva e ognuno dei due proseguiva per la propria strada. 
La giornata sia per Henry che per suo padre trascorse normalmente, senza imprevisti di sorta. Il primo tornò a casa alle 12.45, mentre il secondo circa venti minuti dopo, in orario per il suo programma televisivo preferito, di cui non aveva mai perso neanche una puntata. 
Dopo pranzo Henry si avviò verso la propria camera e accese il computer. Il mese scorso raramente se ne sarebbe servito prima di aver terminato i compiti. Ma venti giorni fa aveva conosciuto una ragazza a scuola ad una conferenza alla quale aveva partecipato e i due avevano subito cominciato a parlare. Dopo quel giorno non si videro più, in quanto gli orari dei loro corsi erano sfasati e quando cominciavano quelli del ragazzo finivano quelli della ragazza. Ma fortunatamente, nonostante non si vedessero, riuscivano a trovarsi ogni giorno in chat. 
Henry attese che la sua amica si collegasse. Avrebbe voluto parlarle dal vero, ma per riuscirci avrebbe dovuto rompere tutte le proprie abitudini, sconvolgendo così la propria giornata; quindi si era sempre accontentato di quella comunicazione senza contatto umano. 
Tardava. Tardava a collegarsi. Di solito a quell’ora le loro conversazioni erano già cominciate, ma oggi la ragazza risultava irrimediabilmente offline. Una strana inquietudine avvolse l’animo del ragazzo. 
— Forse... forse è semplicemente in... come si dice?... in ritardo! Non capita spesso, però può succedere. — pensò Henry. Aspettò altri cinque minuti. Niente. Era sempre più confuso, cosa poteva essere accaduto? Non era possibile che non si collegasse: Charlotte gli aveva detto che in casa aveva due computer e quindi non poteva accadere che entrambi fossero rotti contemporaneamente. 
Aspettò altri dieci minuti tamburellando con le dita della mano sulla scrivania. Il risultato rimaneva sempre lo stesso però. Cominciò a camminare nervosamente per la stanza, poi tornò al computer, ma vide che nulla era cambiato. Lo spense e prese in mano l’eserciziario di matematica. Tentò di concentrarsi, ma la sua mente volava verso la conversazione perduta e il suo animo continuava ad interrogarsi riguardo i motivi che potevano aver causato quella situazione. 
Anche a cena Henry rimase pensieroso e rifiutò addirittura di mangiare la seconda portata: il suo stomaco era completamente sottosopra e anche la sola vista del cibo lo inorridiva. Senza dire una parola si alzò e tornò in camera propria, sotto gli occhi attoniti dei suoi genitori, di Fatima e della vecchia nonna che abitava con loro. 
Nella sua stanza si buttò sul letto e si rannicchiò tra le coperte, mentre quell’unico perché si faceva sempre più grande e impossibile da ignorare. Fissò il soffitto. La flebile luce del lampione sotto casa unita al fruscio delle foglie del grande noce vicino alla finestra dipingevano delle sinuose e armoniche figure sul muro della sua stanza. Sembravano quasi delle persone che si univano e si dividevano, si univano e si dividevano... Ad un certo punto la brezza cessò e sul soffitto rimase solamente un’ombra, sola. 
La mattina seguente Henry si svegliò prima che la sveglia suonasse e non riuscì più a prender sonno: il sogno che aveva fatto lo tormentava. 
Aveva sognato di trovarsi nel corridoio della scuola, ma esso era completamente vuoto. 
D’innanzi a lui era aperta una porta di cui però non vedeva l’interno. Si avvicinò e, quando arrivò sulla soglia, l’uscio si chiuse improvvisamente, una sirena cominciò a suonare e un orologio posto nelle vicinanze batté le dieci. A questo punto si aprì una porta laterale, Henry andò verso di essa, ma proprio quando stava per varcarne la soglia, essa si richiuse e l’orologio segnò le undici. La cosa si ripeté per un altro paio di volte, finché il ragazzo cominciò a correre nel corridoio nell’unica direzione libera da porte. Improvvisamente però sentì un urlo dietro di sé. Una voce che conosceva bene. Si girò immaginando già cosa avrebbe potuto vedere. Infatti là c’era Charlotte, stretta da grosse catene che fuoriuscivano da quegli usci che prima si erano aperti. Cercò di correre verso la ragazza che chiedeva aiuto, ma alcuni orologi si pararono di fronte a lui; su di essi era apparso il viso del padre, con un ghigno sadico sul volto. A questo punto vi era un buco: Henry ricordava solamente che poi si ritrovò in una piccola piazzola, ma non sapeva dire dove fosse localizzata. Era seduto su una panchina a fianco di un anziano signore, la cui fronte era scavata da una profondissima ruga; l’uomo indossava anche un paio d’occhiali spessissimi. Dopo qualche istante ricordò che il vecchio cominciò a parlargli, ma la conversazione era quasi del tutto assente nella sua memoria, se non per quella frase con la quale si era svegliato, ovvero “vita e monotonia sono incompatibili”. Perché aveva sognato quelle parole? Pensò per tutto il periodo della colazione e le sollecitazioni del padre non servirono a nulla, tanto che il ragazzo uscì di casa in leggero ritardo e perse l’autobus. Un fatto del genere non gli era mai accaduto, ma quel giorno se ne accorse appena. La sua mente sfornava interrogativi su interrogativi e l’inquietudine per non aver potuto sentire Charlotte il giorno precedente non l’aveva certo abbandonato. 
Di conseguenza arrivò in ritardo anche a scuola, spiazzando studenti e insegnanti, che lo accettarono in classe stupefatti, dato che una situazione del genere non si era mai verificata prima. 
Cosa poteva essere successo ieri? Cosa significava che monotonia e vita non erano compatibili? 
Voleva dire che forse aveva sbagliato modo di vivere fino a quel momento? Voleva dire che il suo intero universo era in errore? Le domande erano tante e le risposte non erano che parziali e non facevano altro che sollevare altri interrogativi. Henry trascorse la giornata riflettendo, riflettendo e riflettendo in continuazione. 
Finite le lezioni si attardò nuovamente e giunse alla fermata dell’autobus quando ormai tutti gli studenti che conosceva erano già partiti. Si sedette su una panchina ad aspettare. Si mise le mani sulla fronte ed espirò profondamente. Che cosa gli stava succedendo? 
Ma i suoi pensieri vennero interrotti dalla presenza di una persona anziana accanto a lui. Il ragazzo non si era minimamente accorto della sua presenza. Indossava un leggero cappello da passeggio dal quale fuoriuscivano alcuni ciuffi di capelli bianchi, aveva le spalle un po’ incurvate e teneva in mano un lungo bastone di legno. 
Il vecchio si girò verso di lui. Non aveva ancora cominciato a parlare che Henry rabbrividì. Gli occhiali! Quegli occhiali erano uguali a quelli del vecchio del suo sogno! Un brivido gli percorse tutta la schiena e dovette scrollare leggermente le spalle per allontanarlo da sé. 
— Salve figliolo. Sembri essere molto pensieroso — disse l’anziano signore. Il ragazzo non rIspose. 
— Sai, non mi capita spesso di prendere l’autobus. Però, ogni tanto, quando sento il peso degli orari, delle solite cose, decido di andare alla fermata. Però non prendo mai il primo autobus che passa, né guardo gli orari. Lo so, potrà sembrarti una cosa stupida, ma sai, dopo tutti questi anni, ho capito che non si può vivere semplicemente accettando la prima prevedibile occasione che ti si pone davanti... Non trovi che il mondo abbia perso la felicità?... Ma non darmi retta! Sono solo le congetture di un povero vecchio. — e tacque. 
Henry si sentiva confuso: frasi, parole, lettere e immagini cozzavano nella sua mente in maniera insensata. Ma forse quello era il primo momento in cui aveva capito che nella sua vita c’era qualcosa di sbagliato, di assurdo. 
— Scusi se glielo chiedo — disse Henry senza pensarci — ma per lei cos’è la felicità? — Aveva bisogno di risposte e quell’uomo così normale e misterioso allo stesso tempo sembrava essere l’unico che avrebbe potuto dargli ciò che cercava. 
L’uomo alzò gli occhi al cielo, sorrise leggermente e poi rispose: — La libertà. La possibilità di poter decidere che il giorno dopo sia diverso da quello precedente. La possibilità di perdersi in un istante. La possibilità di riflettere con animo sereno sui propri sbagli, avendo fiducia che non saranno più commessi. — 
Quelle parole furono come una risposta ad ogni interrogativo. Le montagne all’interno della sua mente sparirono per lasciare spazio ad una verdeggiante vallata, dopo la quale poteva veder brillare il sole. Ora era consapevole della propria condizione, della condizione del mondo in cui viveva. 
— Ma... se tutti siamo condannati all’infelicità... come possiamo cambiare le cose? — chiese molto energeticamente. Le sue parole vibravano e un desiderio di conoscere aveva preso totalmente il controllo del suo corpo e della sua mente. 
— Io sono solo un vecchio che prende l’autobus credendo di poter evitare la monotonia degli eventi: non so darti una risposta. — 
Monotonia? Tutto si stava ripetendo! Ora ricordava: era la stessa conversazione che aveva avuto nel suo sogno! Queste improvvise illuminazioni sulla vita e sull’esistenza lo lasciavano indifeso e inerme. Ma esse vennero completamente abbagliate da una ben più forte fonte di luce. Una cupa fonte di luce. Essa era appena transitata davanti ai suoi occhi esterrefatti. Un’automobile delle pompe funebri! Certo! Esisteva qualcosa che poteva annullare le abitudini, che poteva impedire a una persona di non collegarsi in chat con un’altra come ogni solito giorno! Henry scattò in piedi: aveva i muscoli tesi, le labbra semi aperte e un’espressione terrorizzata sul volto. 
— Credo — disse placidamente il vecchio — che tu debba andare, adesso. Ma prima voglio darti qualcosa. — prese la mano destra del giovane e lasciò scivolare in essa una piccola catenella d’argento. 
— E cosa dovrei farci? — chiese stupito il giovane che aveva cominciato a respirare affannosamente. 
— Questo devi sceglierlo tu — 
Scegliere? Decidere? Sì! Finalmente era arrivato il momento di agire! Cominciò a correre. Via dei Salici! Lei abitava lì! Non ci era mai stato, ma sapeva dove si trovasse. Il peso sullo stomaco si faceva sempre più pesante, se si fosse fermato era convinto che avrebbe vomitato. Si guardò la mano. La catenella del vecchio era ancora lì. Rallentò e si voltò, ma dell’anziano signore non vi era più alcuna traccia. Un altro sogno? Adesso non importava! Fissò di nuovo ciò che aveva tra le mani, tirò la catena da entrambi i lati e la ruppe. I piccoli anelli metallici caddero a terra producendo un acuto tintinnio. Ricominciò a correre, disperato. Le lacrime cominciarono a bagnargli gli occhi e il presentimento che aveva gli riempì completamente la testa. Era totalmente in balia di questa scarica di emozioni che fino a pochi istanti prima gli era sempre stata negata e sconosciuta. Piangeva, correva, svoltava a destra e a sinistra senza pensarci, come se una forza innata e sopita per lungo tempo lo stesse guidando. Charlotte! Charlotte! Sì, finalmente aveva compreso di amarla. 
Nessuno avrebbe potuto immaginare che in casa Legree fosse scoppiato un incendio verso le tredici. I pompieri, sorpresi da questa calamità, tardarono ad intervenire. Naturalmente Fatima, la governante non riuscì a sfuggire al fuoco, né ci provo la vecchia nonna. Ma ciò che lasciò più sorpresi i primi soccorritori non fu la presenza di tre cadaveri, bensì l’identità di uno di essi. Tutti si aspettavano che il terzo corpo fosse quello di Henry, che a quell’ora era già giunto da almeno quindici minuti alla propria abitazione. 
Invece quel pomeriggio, come al solito, il signor Legree era arrivato nei pressi di casa propria alle 13.05, accorgendosi immediatamente dell’incendio. Ma la cosa non lo aveva turbato minimamente e l’uomo non aveva esitato un istante davanti all’uscio: infatti era sempre tornato a casa per pranzo e poi la sua serie televisiva preferita stava per iniziare. E lui non ne aveva mai perso neanche una puntata. 


[home]